Gli uomini, il vero ostacolo di Kamala Harris

Mancano otto giorni al voto. Milioni di americani hanno già votato per posta o sono già andati alle urne in quegli Stati che consentono il voto anticipato

 

Anche Michelle Obama torna a rivolgersi agli uomini. Nell’unica e tanto attesa apparizione al fianco di Kamala Harris, rivolge un accorato appello ai maschi affinché non trasformino la loro frustrazione, la loro rabbia in un voto contro la candidata democratica.

 

In Michigan, lo stato con la più forte presenza di arabi americani furibondi con l’amministrazione Biden per non avere impedito la carneficina in corso a Gaza, Michelle ha usato parole forti, cercando di scalfire quel muro di indifferenza misto a sessismo e delusione che rischia di favorire l’astensionismo democratico e addirittura di far disperdere i voti sulla terza incomoda, la candidata verde Jill Stein che non si è ritirata dalla corsa alla Casa Bianca.

 

L’ex first lady ha puntato dritta sulla salute delle donne messa in pericolo da un ritorno di Trump alla presidenza. Il riferimento è alla decisione della Corte Suprema nel 2022 di annullare la sentenza Roe vs Wade che proteggeva il diritto all’aborto in tutti gli Stati, costringendo di fatto le donne che vogliono interrompere la gravidanza a migrare in stati dove le legislazioni in atto consentono l’assistenza all’aborto.

 

Già durante la sua presidenza Trump aveva cancellato i fondi federali ai centri che si occupavano di tutela della salute della donna se, tra i servizi forniti, oltre alle vaccinazioni, la prevenzione, la contraccezione, era prevista anche l’interruzione di gravidanza. «Un voto per lui è un voto contro di noi, contro la nostra salute».

 

Prendete seriamente le nostre vite, ha implorato Michelle Obama, rivolgendosi in modo particolare agli uomini: «Da quale parte della storia volete stare?».

 

E poi parlando direttamente alle donne le ha invitate a votare per Kamala Harris, indipendentemente dal voto del loro compagno, «il vostro voto è una questione privata».

 

Parole influenzate di sicuro da un sondaggio New York Times-Siena College pubblicato venerdì nel quale si mette in risalto che Harris è al 54% di gradimento tra le donne e al 42% tra gli uomini, mentre Trump tra gli uomini ha il 55% di gradimento contro il 41% delle donne.

 

Anche Obama nella tappa in Pennsylvania si era rivolto direttamente agli uomini neri accusandoli di sessismo. Chi meglio di lui può permettersi di dire ai suoi simili che la scelta di non votare la Harris è dettata dal pregiudizio che una donna non possa essere presidente degli Stati Uniti. «È cresciuta nei vostri quartieri, ha fatto le vostre scuole e condotto le vostre stesse battaglie, li aveva redarguiti, eppure credete di più a un miliardario bianco che vi disprezza, piuttosto che votare una donna!».

 

Mancano, ormai, solo nove giorni al voto. Milioni di americani hanno già votato per posta o sono già andati alle urne in quegli Stati che consentono il voto anticipato.

 

Sappiamo che a determinare il risultato sono soprattutto sette stati in bilico e probabilmente una manciata di voti farà la differenza. Per la strana legge elettorale americana che cerca di dare valore uguale a tutti gli stati non basta il voto popolare per vincere.

 

Hillary Clinton, la prima donna a correre per la Casa Bianca nel 2016, lo sa molto bene. Non ce l’ha fatta nonostante avesse quasi tre milioni di voti in più. Fu eletto Donald Trump che aveva condotto una campagna volgare e sessista contro di lei. Vi ricordate la marcia delle donne a Washington il giorno del suo insediamento? Non sappiamo che cosa succederà se Trump dovesse perdere, se davvero ci sarà quella rivolta del suo popolo, violenta come abbiamo già visto il sei gennaio 2021 con l’assalto al Congresso.

 

Il miliardario non perde occasione di parlare della possibilità di brogli messi in atto dall’amministrazione Biden. Critica il voto anticipato, sapendo che i repubblicani tendono ad andare di persona ai seggi. In questi mesi ha preparato il suo popolo ad una contestazione del risultato se non dovesse vincere, proprio come fece nel passato con l’elezione di Biden.

 

È uno scenario inquietante di cui i media americani parlano apertamente.

 

Nel frattempo, possiamo immaginare che tipo di Paese abbia in mente Trump se dovesse vincere. Un Paese sempre più diviso, sempre più concentrato su sé stesso, con un’Europa sempre più sola prigioniera di quell’asse sovranista che vede in Trump il grande leader e che da Washington arriva sino a Mosca, passando anche da Roma.

 

Ecco perché il voto americano ci riguarda, eccome!

 

 

 

Pubblichiamo per gentile concessione dell’autrice Tiziana Ferrario e del sito Articolo21