L’Europa si barrica, ma per sopravvivere ha bisogno dei lavoratori stranieri

Gli accordi con Stati esterni all’ Unione e le chiusure delle frontiere rappresentano obbrobi giuridici e morali

 

La decisione è stata una sorpresa. Il 9 settembre la ministra degli Interni tedesco, la socialdemocratica Nancy Faeser, ha annunciato l’intenzione di ristabilire, a partire dal 16 settembre, controlli temporanei a tutte le frontiere terrestri della Germania, per rafforzare la lotta contro l’immigrazione clandestina.

In un contesto che vede i partiti di estrema destra trionfare in varie elezioni regionali il governo del cancelliere Olaf Scholz sta inasprendo sempre più la sua politica migratoria. In Italia e Ungheria i governi di Giorgia Meloni e Viktor Orban hanno adottato misure volte a ridurre drasticamente l’ingresso dei migranti. Proprio in questi giorni è divenuto operativo il protocollo fra Italia e Albania per la gestione delle persone migranti fuori dai confini dell’unione Europea. Il nuovo governo francese ha appena annunciato di voler mettere di nuovo mano alla legge sull’immigrazione (la 33esima dal 1980!) ovviamente in una chiave ancora più restrittiva.  L’11 luglio il Parlamento polacco ha adottato una legge che esenta da ogni responsabilità il personale militare che utilizza le armi ai confini con Bielorussia e Russia, soggetti a forte pressione migratoria.

 

L’inasprimento generalizzato delle politiche migratorie europee non è un fenomeno nuovo, ma si sta intensificando, secondo Marie-Laure Basilien-Gainche, professoressa di diritto pubblico all’Università di Lione 3 e membro del Convergences Migrations Institute, raggiunta dai colleghi del giornale francese Réforme: «Alla fine degli anni ’90, con i vertici europei di Tampere, L’Aia e Stoccolma, l’equilibrio politico tra la tutela dei diritti dei migranti e la chiusura delle frontiere ha cominciato a pendere a favore di quest’ultima». Basilien-Gainche sottolinea che questa tendenza si è ulteriormente rafforzata nel 2015-2016, anni segnati dall’arrivo massiccio di rifugiati siriani, ma anche eritrei e afghani. Solo nel mese di aprile 2015, più di 1.200 persone sono annegate al largo delle coste greche. «Dal 2015, la Francia ha ristabilito i controlli alle frontiere interne ogni sei mesi, in particolare con l’Italia e, più recentemente, con la Spagna. Siamo così abituati che non ci prestiamo nemmeno più attenzione», osserva.

 

Due tendenze attuali preoccupano particolarmente Cimade, storica associazione transalpina di matrice protestante a sostegno dei migranti: l’aumento della violenza alle frontiere e lungo le rotte migratorie, che talvolta tendono a legalizzarsi, come in Polonia per l’appunto. Cimade denuncia anche i tentativi di diversi Stati membri di istituzionalizzare l’esternalizzazione delle domande di asilo. «In Italia, il governo di Giorgia Meloni ha raggiunto un accordo con l’Albania affinché le persone soccorse nel Mediterraneo non vengano sbarcate in Italia, ma in Albania, dove verranno indirizzate verso centri finanziati dall’Italia e dove verrà trattata la loro richiesta di asilo».

 

E critica il Patto europeo su migrazione e asilo, adottato in via definitiva il 14 maggio. “«Questo vasto corpus di testi prevede che le persone in esilio che arrivano alle frontiere esterne dell’Unione siano tutte sottoposte a una procedura di screening, comprese le famiglie e i bambini. In soli sette giorni dovrebbe essere effettuato uno screening per determinare chi ha diritto a chiedere asilo in Europa, sulla base di un criterio di nazionalità», spiega Lydie Arbogast responsabile delle questioni europee presso Cimade. A suo avviso, istituzionalizzare la profilazione per nazionalità invece di garantire un esame individuale e qualitativo è contrario allo spirito della Convenzione di Ginevra. Aggiunge che questa pratica è già osservabile negli “hotspot”, questi centri per migranti istituiti alle frontiere esterne meridionali dell’Unione europea (UE) a partire dal 2015. Gli Stati membri hanno ora due anni per attuare il Patto su migrazione e asilo.

 

Oltre all’inasprimento della legislazione sull’immigrazione, particolarmente marcato nell’ultimo decennio, l’estrema destra sta guadagnando influenza alla guida di diversi paesi europei. Oltre che in Italia e Ungheria, è salita al potere nei Paesi Bassi e in Finlandia, all’interno di coalizioni governative.

 

Nonostante trent’anni di politiche migratorie più severe, l’immigrazione continua a crescere. Nel 2022, secondo gli ultimi dati Eurostat, sono arrivati ​​nell’Unione Europea 5,1 milioni di immigrati provenienti da paesi terzi, rispetto ai 2,4 milioni del 2021 e ai 2,7 milioni del 2019 (prima della crisi Covid). Le principali destinazioni di questi migranti nel 2022 sono state la Germania (2,1 milioni di persone) e la Spagna (1,3 milioni), seguite da Italia e Francia (circa 400.000). Nello stesso anno, a 143.000 cittadini di paesi extra-UE è stato rifiutato l’ingresso a una delle frontiere esterne. «Finora i tentativi di limitare i flussi migratori non hanno mai realmente portato a una riduzione del numero degli arrivi. L’inasprimento delle politiche migratorie ha come effetto principale quello di mettere sotto pressione i migranti e di indebolirli, rendendo, ad esempio, sempre più difficile il rinnovo dei loro documenti», spiega Thomas Lacroix del Cnrs, il Centro nazionale ricerca scientifica francese, e  specialista in migrazioni. Interpellato dall’emittente da Europe 1, Didier Leschi, direttore dell’Ufficio francese per l’immigrazione e l’integrazione,  a sua volta ha affermato che «parte dell’immigrazione è la proiezione del caos estremo del mondo. È il risultato di crisi politiche devastanti o dei crescenti effetti del riscaldamento globale. Se i governi di estrema destra in Europa sembrano indifferenti al destino delle popolazioni costrette all’esilio, le questioni nazionali potrebbero tuttavia portarli a cambiare le loro politiche. L’Ungheria si sta aprendo con discrezione all’immigrazione di manodopera per compensare la mancanza di lavoratori, proprio come l’Italia di Giorgia Meloni. Questo è ciò che chiamiamo il paradosso liberale. Le nostre società devono gestire una tensione tra un campo politico ampiamente sfavorevole all’immigrazione e una realtà segnata da un mercato del lavoro globalizzato». Tra il 2023 e il 2025, il governo di Giorgia Meloni ha previsto l’ingresso di 452mila lavoratori stranieri, prevalentemente nei settori dell’agricoltura, della ristorazione e della pesca, per colmare le carenze di manodopera.