L’amarezza nei conflitti
Un giorno una parola – commento a II Samuele 2, 26
Allora Abner chiamò Ioab e disse: «La spada divorerà per sempre? Non sai che alla fine ci sarà dell’amaro?»
II Samuele 2, 26
Gesù disse: «Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, periranno di spada»
Matteo 26, 52
“Alla fine ci sarà dell’amaro”. Inorridiamo al solo pensiero che possa esserci qualcosa di dolce nella violenza, nella guerra, nell’inseguimento armi in pugno e nella spasmodica fuga alla ricerca della salvezza, nel tentativo di trovare scampo. Cosa ci può essere di dolce nella paura, nel dolore, nella devastazione, nella disperazione… l’amaro non arriva solo alla fine, c’è dall’inizio di qualunque conflitto.
Abner, della casa di Saul, è inseguito da Ioab, della casa di Davide, in una battaglia che sembra essere iniziata per gioco e si sta concludendo con una carneficina.
Nella concitazione della corsa, Abner però si ferma e chiama Ioab. Se Abner parla, non lo fa perché sia più giusto di Ioab; forse parla per paura, la paura di chi è braccato e stanco; forse parla perché guardandosi indietro per un attimo inorridisce… non lo sapremo mai. Quello che sappiamo è che Abner trova il coraggio di interrompere la corsa e parlare commentando quanto sta accadendo.
Non si sofferma sul presente, entrambe le parti sono troppo coinvolte, ma invita a guardare al futuro: la spada non può divorare per sempre e alla fine ci sarà dell’amaro.
La radice di quest’ultima parola, amaro, in ebraico indica l’ostinazione umana, la ribellione contro Dio, il peccato. Un’amarezza che non è solo umana, quindi, ma coinvolge Dio, la sua volontà e il suo progetto per l’umanità.
Mentre chiudiamo gli occhi per non vedere, pensiamo ad altro per non ricordare e continuiamo a correre verso una salvezza che non riusciremo mai a raggiungere solo con le nostre forze, questa amarezza ancora oggi ci assale facendoci inorridire e ci chiede di fermarci, voltarci indietro e parlare… forse vale la pena provarci.
Amen.