Ecumene. Creare uno spirito di appartenenza
La presentazione della nuova vicedirettora Naomi Cino, che nel 70° anniversario del Centro ci parla del suo futuro
Quest’anno il Centro metodista «Ecumene» di Velletri (Rm) ha raggiunto 70 anni di vita. Un importante traguardo per questa bella realtà aggregativa ed educativa, che in questi ultimi anni si è rinnovata, con un imponente progetto di ristrutturazione. Alla direttrice Elvira Migliaccio, che gestisce la struttura avvalendosi del fondamentale apporto dei volontari, è stata affiancata lo scorso anno la figura di una vicedirettrice, Lucia Squitieri.
All’inizio di agosto è subentrata in questa funzione Naomi Cino, che si è presentata ai membri del Sinodo e che abbiamo incontrato a margine dei lavori. Ci spiega la funzione che andrà a ricoprire:«Si tratta di un ruolo nascente, che vuole essere di supporto alla direttora che gestisce tutto in modo eccezionale, nel rispetto della tradizione e nel vissuto di Ecumene. Pur avendo ben chiara la storia del Centro, l’intento è di apportare delle novità per ampliare la struttura oltre i confini nazionali, sia portando a Ecumene persone dall’esterno, sia favorendo esperienze in altre realtà per i nostri ragazzi».
In questo l’esperienza personale di Naomi, napoletana, gioca un ruolo chiave: «Ho avuto l’opportunità, interrogandomi sul mio percorso di fede, di vivere diverse esperienze: nel Regno Unito, in un centro conferenze cristiano in cui si viveva proprio la sinergia tra giovani di diversi paesi, accomunati da una fade e un entusiasmo comuni. Negli Stati Uniti, con l’Epworth League, gruppo missionario di origine metodista, oggi ente no profit, che ha l’obiettivo di coinvolgere i giovani adulti, recependo le carenze presenti nella società, facendoli sentire partecipi attraverso la valorizzazione dei loro talenti al fine della testimonianza evangelica. Per un anno, poi, sono stata in Danimarca con la Missione metodista danese, dove mi sono occupata in particolare del Caffè sociale, che distribuisce pasti ai senzatetto nella zona di Copenaghen. È stata anche in questo caso un’esperienza a tutto tondo, perché oltre al lavoro pratico, c’è stata l’interazione con la missione che comprende anche i giovani che vivono nel dormitorio e interagiscono con la realtà metodista offrendo il loro aiuto».
– Ora sei a Ecumene, in un certo senso possiamo parlare di un ritorno all’origine, al punto da dove sei partita: ci spieghi in che senso?
«Ecumene per me è stato il primo approccio a realtà che mi permettevano di incontrare altri giovani protestanti e non solo, di aprirmi ad altri contesti e vissuti, aprirmi quindi a una diversità, a uno scambio, che poi si è rivelato fondamentale nella mia esperienza.
Tornando a Ecumene ho ritrovato quell’atmosfera, che cerca in qualche modo di creare un senso di appartenenza, rispondendo a un bisogno sentito in una realtà che tende a essere più individualista. Un senso di comunità che si sperimenta in tutti i momenti della vita dei campi, stimolando i ragazzi a viverli, con l’aiuto anche pratico allo svolgimento del campo stesso. Questa prassi crea molta familiarità, lo abbiamo visto nel campo di Ferragosto che si è intrecciato con il campo Giovani, in cui abbiamo festeggiato i 70 anni del centro, e si aveva l’impressione di trovarsi in famiglia, più che in un centro. Al tempo stesso diamo ai giovani l’opportunità di confrontarsi su diversi temi, accogliendosi nella diversità, in un confronto fondamentale per sviluppare quel senso di appartenenza che si crea quando ci si apre in modo onesto e sincero agli altri, con le proprie vulnerabilità e calando le maschere… ».