Metodisti italiani. Tradizioni diverse unite nella testimonianza

È uscito per l’editrice Claudiana il libro collettivo dedicato alla presenza metodista nel nostro paese

 

 

Nel 1994 mi accingevo a dare vita alla Federazione laburista e nell’ottobre mi recai a Blackpool alla Conferenza annuale del Labour Party, la prima del nuovo leader appena eletto, Tony Blair. Prima di entrare nella sala dovevo accreditarmi e andai alla segretaria del Congresso. Con mia grande sorpresa mi accorsi che la sede della segreteria era nella sede della locale Chiesa metodista, dove svolsi le operazioni necessarie. Appresi peraltro che, per consuetudine, il congresso si era aperto con una funzione nella locale chiesa metodista. Non so se tanti anni dopo questa consuetudine continua, ma certo ne rimasi piacevolmente colpito, anche se dissi tra me e me: non diciamolo troppo in Italia, sennò faremo iniziare i nostri congressi con una funzione in una chiesa cattolica!

 

Era la traccia lasciata dalla chiesa di John Wesley, che aveva affermato: «la mia parrocchia è il mondo» ed era uscito dalla Chiesa anglicana tradizionale a predicare il messaggio cristiano tra i lavoratori. Del resto i laburisti hanno recentemente eletto a loro leader Keir Starner. Keir è il nome che suo padre gli ha dato in memoria del grande Keir Hardie, il primo laburista a sedere alla Camera dei Comuni, uno scozzese cristiano e socialista.

 

La vita, la storia della Chiesa metodista in Italia si è svolta in condizioni molto diverse da quelle del mondo anglosassone, come viene rievocata in un libro, di grande impegno e accuratezza, Metodisti in Italia*, curato da Daniele Garrone, Paolo Naso e Silvana Nitti, edito da Claudiana in questo anno, frutto del contributo di altri ben ventiquattro studiosi e arricchito da una prefazione di Andrea Riccardi.

 

Per me bambino la chiesa metodista di Firenze era la chiesa di mio padre Giorgio, mentre la chiesa valdese era la chiesa di mia madre Anna. È stata questa la chiesa in cui sono stato educato religiosamente, prima in via Manzoni, poi nell’ex-tempio anglicano di via Micheli, ma di tanto in tanto andavo anche al culto domenicale nella chiesa metodista di via dei Benci. Ne avvertivo la diversità di ambiente, più raccolto il secondo, più numeroso e vivace il primo, ma non mi sembrava di cogliere una grande differenza tra i due culti. Del resto Giorgio Spini, forse non a caso, fu tra i più decisi sostenitori del Patto di integrazione, approvato dal Sinodo valdese e dalla Conferenza metodista nel 1975. A proposito della chiesa metodista a Firenze, andrebbe forse ricordata anche la preziosa opera, durante la guerra, del pastore Lodovico Vergnano, che ospitò nei suoi locali tanti fiorentini che vi si rifugiarono. (Bruna Peyrot, nel suo saggio su «Le donne metodiste» ne ricorda la moglie Elvira Pons).

 

Oggi questo volume ci restituisce in tutta la sua ricchezza che cosa sia stata la presenza metodista in Italia, piccola ma significativa, e ancora presente nella attuale Chiesa evangelica valdese – Unione delle Chiese metodiste e valdesi. Una presenza importante proprio come momento non di separatezza ma di positiva contaminazione – nell’unità – delle due tradizioni, una (quella valdese) così specifica nel suo percorso storico, l’altra (quella metodista) componente di una Chiesa che ha avuto nell’Inghilterra e nel mondo anglosassone in genere, la sua alma mater e che ha avuto una sua propria storia anche in Italia.

 

E in effetti l’odierna chiesa valdese-metodista si trova a essere dotata di due vettori internazionali molto importanti. Il primo la collega alle Chiese presbiteriane e riformate, la seconda appunto alle chiese metodiste, naturalmente nell’ambito più generale del protestantesimo e delle chiese evangeliche che fanno capo al Consiglio ecumenico delle Chiese.

 

Giorgio Spini aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita al completamento di una trilogia sulla storia del protestantesimo italiano. Aveva voluto, cioè, fare seguire a un’opera pubblicata a quarant’anni nel 1956, Risorgimento e protestanti (poi più volte ripubblicata, altre due opere, Italia liberale e protestanti, pubblicata nel 2002 quando aveva ottantasei anni e Italia di Mussolini e protestanti, non terminata ma pubblicata postuma e quindi nel 2007, l’anno dopo la sua scomparsa. Era arrivato dove aveva potuto.

 

Vorrei ricordare in proposito che Italia liberale e protestanti fu presentato in una manifestazione alla Facoltà valdese di teologia a Roma, alla presenza del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, una presenza da Ciampi stesso richiamata nella prefazione che volle fare a Italia di Mussolini e protestanti. Il tema della presentazione di Italia liberale e protestanti, cui aveva partecipato Paolo Ricca, ruotava intorno proprio all’interrogativo storiografico che si pone. Perché, dopo Porta Pia e la rottura tra stato italiano e chiesa cattolica, non era riuscito al protestantesimo italiano di costituire una vera e propria alternativa alla Chiesa cattolica stessa. In tal senso, le due distinte missioni metodiste, quella inglese wesleyana, e quella americana episcopale si erano mosse nel nostro paese, lasciando comunque una piccola ma significativa presenza italiana, che troverà poi il suo sbocco nel Patto di integrazione con la chiesa valdese.

 

Tra i convertiti, vi furono varie importanti personalità e ricordiamo qui Jacopo Lombardini, morto a Mauthausen per la sua militanza antifascista. Ricordiamo poi che il sacerdote cattolico scomunicato, il grande studioso Ernesto Buonaiuti, cui fu tolta la cattedra per avere rifiutato il giuramento al regime fascista, poté vivere grazie all’insegnamento cui fu chiamato nella scuola metodista di Roma.

 

 

Un apporto originale al cristianesimo italiano

 

I curatori del volume, Daniele Garrone, Paolo Naso, Silvana Nitti, con l’aiuto degli autori, in questo contesto, hanno inteso colmare quello che definiscono uno specifico deficit storiografico, cioè quello di una storia organica del metodismo italiano e con Metodisti in Italia, lo hanno fatto con successo in tutti i suoi aspetti teologici, culturali, pedagogici, politici e sociali. In particolare, Paolo Naso intitola il suo contributo «Una testimonianza tra fede e politica», mettendo in luce quanti esponenti della Chiesa Metodista abbiano testimoniato la loro fede nella sfera politica a cominciare dal pastore Sergio Aquilante, presidente della Chiesa metodista e poi vicemoderatore della Chiesa integrata valdese-metodista (con il moderatore valdese Giorgio Bouchard). Aquilante aveva dato anche vita significativamente a un Centro Studi per il socialismo cristiano.

 

È Andrea Riccardi a richiamare, nella sua prefazione, lo scontro durissimo che nell’Italia post-unitaria ci fu tra Chiesa cattolica e metodisti, con gli sviluppi successivi e il confronto con il cattolicesimo postconciliare, concludendo che «Metodisti in Italia rappresenta un capitolo della storia del cristianesimo nel nostro paese». Credo che nelle intenzioni di Riccardi non voglia essere una conclusione di assimilazione, quanto invece il riconoscimento di un apporto nella diversificazione che ha avuto una sua dignità e una sua originalità. Un riconoscimento che testimonia del patrimonio di testimonianza evangelica che con grande impegno e spirito di sacrificio, in condizioni spesso difficili, i metodisti italiani hanno saputo dare.

 

 

Un decennio di avvicinamento progressivo

 

1969: dal 14 al 16 maggio si tiene a Roma una sessione congiunta del Sinodo valdese e della Conferenza metodista, assemblee costituitesi entrambe in maniera indipendente. Il risultato è «il riconoscimento della piena appartenenza alla propria confessione di origine a quel credente che, per diversi motivi, si trovasse a frequentare stabilmente una comunità della confessione sorella».

 

1974: Dopo alcuni Sinodi e Conferenze che, ognuno nella sua autonomia, avevano lavorato al Progetto di integrazione, la seduta congiunta del Sinodo valdese e della Conferenza metodista, a Torre Pellice, approva il Progetto di integrazione globale tra le Chiese valdesi e metodiste.

 

1975: È l’anno dell’approvazione da parte di ognuno dei soggetti coinvolti: la prima assise a pronunciarsi è il Sinodo valdese nella sua sessione rioplatense (in febbraio); in agosto si esprimono anche il Sinodo nella propria sessione europea e la Conferenza metodista.

 

1979: Giunge l’approvazione definitiva, ma è un’approvazione che ormai non deriva da due organismi separati e paralleli. SI compie il processo del Patto d’integrazione.

 

(le notizie qui riportate sono desunte dal contributo di V. Vozza, «La Chiesa evangelica metodista d’Italia. Un percorso di unioni e integrazione (1946-1975»), compreso nel volume di cui si tratta in questa pagina).