L’Italia senza fede?

Sta facendo discutere il sondaggio, realizzato per la Repubblica da Demos & Pi, secondo il quale solo il 15% degli italiani e italiane ritiene molto importante il ruolo guida della Chiesa nel Paese.

Come molte rilevazioni statistiche il sondaggio è orientato a comprendere il pensiero e gli orientamenti della società rispetto alla Chiesa cattolica. Tuttavia i risultati possono ben aiutare anche le altre confessioni religiose ad aprire una riflessione più ampia.

Passione sbiadita

La tendenza, che si va consolidando, vede una diminuzione dell’interesse verso “la religione o la comunità religiosa“. Meno del 40% delle italiane e degli italiani, in 8 anni, ritiene oggi che l’insegnamento della Chiesa rispetto alla morale e alla vita delle persone (valori, famiglia, sessualità) sia molto importante e, quindi, da seguire.

Al contrario altri sembrano gli aspetti e attività di maggiore interesse che attraggono le persone: il territorio e lo sport, dice Repubblica.

Un Paese, due estremi

E se, da un lato, a partire dai 45 anni le persone ritengono l’insegnamento della Chiesa di una qualche rilevanza, seppure con alcuni distinguo tutt’altro che secondari, gli under 44 guardano invece con indifferenza o con spirito molto critico tali insegnamenti.

Una polarizzazione che è confermata anche tra coloro che più o meno assiduamente frequentano le Chiese e coloro che, invece, le disertano.

Con un dato rilevante: meno del 20% degli italiani e delle italiane frequenta la messa regolarmente. Mentre arrivano a quota 30% coloro che non sono completamente praticanti. Il doppio rispetto a 20 anni fa.

Chiese vuote, conseguenze gravi

Lo spopolamento delle Chiese, salvo rare eccezioni, riguarda gran parte delle confessioni cristiane storiche e non è privo di conseguenze.

Meno partecipazione significa meno contatto con i valori cristiani che hanno animato, nei decenni, fasce non marginali di impegno: per la pace, ad esempio.

D’altra parte ben il 20% delle persone ritiene che la Chiesa dovrebbe occuparsi non solo della fede. L’impermeabilità della Chiesa, o almeno quella che viene così percepita, coi suoi riti, le sue liturgie, il suo linguaggio assume quindi un valore critico rilevante.

Solo statistica?

In Italia manca e finora non è stato ancora compiuto uno studio organico che guardi alla spiritualità degli italiani e delle italiane oltre gli steccati confessionali.

Nel 2017 l’università di Torino propose un’«indagine sociologica su attese e esigenze spirituali degli studenti».

Mantenere viva l’attenzione sulla dimensione spirituale delle persone, infatti, consente di allargare il quadro di conoscenza e descrizione della società italiana.

Da quel lavoro, unico nel suo genere almeno finora, emersela necessità di molti studenti (52,5% degli intervistati) di vivere la spiritualità in spazi comuni e condivisi, e l’interesse nel promuovere ed organizzare attività culturali di sensibilizzazione e promozione del dialogo e del confronto tra le diverse credenze, culture e tradizioni“.

Sempre l’ateneo torinese, condusse una ricerca su scala nazionale riguardante la religiosità degli italiani alla prova del tempo.

L’iniziativa prendeva in considerazione l’arco di tempo che va dal 1994 al 2017. Venticinque anni durante i quali tutto è cambiato. Radicalmente cambiato.

La rivoluzione tecnologica, con le ricadute nella vita quotidiana e nel linguaggio; il contesto sociale ed economico; la politica.

Sebbene la religiosità sia costitutiva dell’esistenza dei popoli e della loro storia, essa oggi rappresenta una categoria con la quale ogni progetto di crescita umana deve fare i conti certamente in maniera molto diversa che nel passato.

Religione e spiritualità

Come in ogni processo sociale anche in questo vi è un risvolto che segna una differenza non da poco nella relazione degli italiani e le italiane con la fede.

Nel rapporto ISTAT del 2020 si leggeva un dato interessante: «durante la fase di lockdown il 42,8% della popolazione di 18 anni in su ha pregato almeno una volta a settimana (il 22,2% almeno una volta al giorno). Le donne lo hanno fatto più degli uomini (52,6% contro 32,3%) almeno una volta a settimana come pure le persone anziane di 65 anni e più (60%). Viceversa una quota analoga pari al 48,3% si è polarizzata in maniera del tutto opposta dichiarando, invece, di non avere mai pregato. Il 58% tra gli uomini, e il 64,5% tra i giovani fino a 34 anni».

Certo, si tratta di un dato generale ed un rilevamento in condizioni straordinarie e drammatiche come quelle registrate durante le fasi iniziali e acute della pandemia da Covid-19.

In generale i sondaggi su questi temi, in Italia, risentono di un vizio di fondo: ovvero dare per scontato che le persone credenti o siano cattoliche o non credano.

In realtà la società italiana è sempre più differenziata e multiforme sia nelle appartenenze religiose ma, soprattutto, nell’adesione a temi come la fede e la spiritualità.

Nel processo di modernizzazione del Paese, coesistono diverse fedi religiose e culture: emergono simboli religiosi che mettono in discussione certezze consolidate. È in fieri lo sviluppo di una varietà di credenze e proposte di salvezza che attenua la convinzione dell’esistenza di una verità assoluta.

I credenti relativi

Nell’attuale modernità, si è diffuso un modo di “credere relativo”, che mette in dubbio ogni certezza e porta a una fede “fragile”. Le religioni, a partire dal cattolicesimo, si trasformano in “sensibilità culturali” e trovano sempre più difficoltà a conciliare fede e scienza. Così la fede personale diviene più soggettiva e meno vincolata confessionalmente.

La percezione è che la fede si trasformi in una spiritualità più ampia, sincretica talvolta, svincolata da pratiche e obblighi devozionali.

In conclusione

È indubbio che nella società anche italiana si muova una ricerca di spiritualità. In forme nuove rispetto al passato e che questa ricerca stia ridefinendo, anche linguisticamente, parole come fede, sacro, chiesa, comunità, etc…

D’altra parte è forse giunto il tempo di chiedersi come le Chiese si stiano attrezzando per leggere questi cambiamenti sociali? In che modo li intercettano e li analizzano? Come intendono rispondere, se intendono farlo, a quella che appare sempre più come una mutazione profonda del rapporto delle persone con l’anima e la fede?

Domande che spingono verso la necessità di un approccio comune, almeno per gruppi religiosi simili, nello studio e nella ricerca di un dialogo nuovo con una società che è già cambiata.