Le App, tema politico

Le “app”: uno strumento per facilitarci la vita? Da un lato si offrono servizi di educazione digitale, dall’altro manca un percorso che inizi fin dalla giovane età a formare e responsabilizzare

È in distribuzione il numero di agosto del mensile free press “L’Eco delle valli valdesi”. Lo potete trovare in centinaia di punti distributivi in tutto il Pinerolese, e in versione Pdf sul nostro sito www.riforma.it.

Il dossier di questo mese è dedicato alle applicazioni dei nostri telefoni e computer e come queste hanno cambiato la nostra vita. Buona lettura

 

App, social media, intelligenza artificiale. La tecnologia regola sempre più vari aspetti della nostra vita, più di quanto probabilmente ci rendiamo conto. Paghiamo, parliamo, traduciamo, acquistiamo, dichiariamo i nostri redditi attraverso strumenti ogni giorno più sofisticati. Durante la pandemia poi sono stati un formidabile strumento per mantenere i rapporti fra persone.

 

«Le tecnologie hanno cambiato il nostro modo di essere, garantendo l’ampliamento delle possibilità di scelta per i cittadini, un aspetto senza dubbio positivo – ci racconta Luciano Paccagnella, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Torino–. La vita digitale oramai condiziona tutto il nostro vivere, qualunque nostra attività, e spesso l’ha agevolata molto. Eppure, non sappiamo nulla di questi mezzi, li diamo per scontati come gli alberi o il sole, come se ci fossero sempre stati e sempre ci saranno. Ci si dimentica ancora troppo che tutti o quasi questi servizi che oggi incanalano le nostre attività quotidiane sono di proprietà privata, e in particolare di aziende statunitensi. Cinque gigantesche industrie che fanno una politica molto aggressiva di acquisizione dei concorrenti, il che ci porta a uno scenario in cui non abbiamo possibilità di conoscere quali sono le loro logiche di manovra. Questo ci pone di fronte a un rischio di un gigantesco oligopolio: a breve noi non avremo più alternative a queste aziende».

 

Il problema non è l’azienda in sé, ma si tratta di un tema politico, secondo Paccagnella, un problema, in particolare, «dei nostri parlamenti che ancora non si sono resi conto che stanno consegnando il funzionamento ordinario della nostra società nelle mani di soggetti privati che decidono in modo unilaterale; noi non abbiamo voce in capitolo. Si tratta di una situazione molto pericolosa dal punto di vista dei processi democratici perché le linee di funzionamento di una società non vengono più decise dal Parlamento, dal Governo, dalla società civile, dalla scuola pubblica, da queste situazioni di confronto e battaglia pubblica, ma vengono invece completamente sottratte al dibattito e vengono stabilite all’interno di Cda che non devono rendere conto a nessuno».

 

 

Aziende che seguono logiche di profitto e che quindi useranno le nostre parole, le nostre immagini, i nostri volti, per profilazioni commerciali sempre più precise. Privandoci del dibattito pubblico. «C’è la questione dei limiti, dei vincoli, nell’uso di queste piattaforme, su cui noi non possiamo decidere. Per esempio, se promuoviamo un evento di educazione sessuale su Facebook o su Instagram, immediatamente Meta ci censura. Tutto questo in base alla morale puritana americana. Il problema è: di quante altre cose subisco censura? Se io chiedo a Chatgpt di spiegarmi come si costruisce una bomba mi viene risposto che non è autorizzato a parlane, e a noi pare sensato; ma se gli chiediamo di quali altre cose non è autorizzato a parlare il dispositivo di Intelligenza artificiale non risponde, non è autorizzato nemmeno a dirci ciò, non so di che cosa posso o non parlare. E non lo posso sapere perché sto usando i servizi di un’azienda privata».

In conclusione: «Faremo sempre più affidamento alle tecnologie rendendocene conto sempre di meno. È urgente sia un dibattito politico sia un adeguamento delle agenzie di socializzazione, della scuola in particolare per dare strumenti per conoscere davvero cosa stiamo utilizzando».