Caso Asso 29, la sentenza: La Libia non è un luogo sicuro dove condurre i migranti

Stato italiano, capitano e armatore colpevoli per il respingimento collettivo

 

Come racconta il sito di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sulla migrazione, Il 2 luglio 2018 il mercantile Asso 29, coordinato dalla nave militare italiana Duilio, era intervenuto in soccorso di una motovedetta libica in avaria che aveva da poco intercettato un’imbarcazione con circa 150 persone a bordo. Sotto il coordinamento italiano e libico, la Asso 29 aveva ricondotto le 150 persone a Tripoli, dove erano state detenute e torturate nei centri di detenzione di Tarik Al Sikka, Zintan, Tarik Al Matar, Gharyan. Fu la prima volta. Al governo sedeva la coalizione 5Stelle-Lega.

 

La sentenza del Tribunale civile di Roma ha stabilito che la Asso 29 avrebbe dovuto «condurre i migranti in Italia, non in Libia». Portando le persone soccorse in Libia le ha esposte a «torture, detenzione illegale, violenze di ogni genere e, in alcuni casi, alla morte. Come affermato anche recentemente da altre corti, la Libia non è un luogo sicuro in cui può concludersi un’operazione di ricerca e soccorso».

 

 

I ministeri di Difesa e Trasporti, la Presidenza del consiglio, il capitano e l’armatore della nave Asso 29 dovranno pagare 15mila euro a ciascuno dei cinque ricorrenti, i soli che al momento sono riusciti a ritornare: due uomini e una coppia con un figlio, fra le vittime del respingimento forzoso.

 

Si trovano ora in Europa, arrivati tramite programmi di resettlement, corridoi umanitari o attraversando nuovamente il Mediterraneo. Hanno ricevuto il riconoscimento della protezione internazionale diritto dal cui godimento il respingimento li aveva esclusi.

 

Il Tribunale civile nella sentenza passa in rassegna quanto prodotto dalle missioni di inchiesta delle Nazioni Unite e da altri organismi internazionali su quanto avviene in Libia: violenza indiscriminata, tortura, detenzione, sistemi di compravendita delle persone. Conclude che la presenza delle autorità di frontiera libiche e l’esistenza di una zona SAR libica «non può far venir meno il rispetto degli obblighi internazionali da parte dello Stato italiano, che ha o comunque avrebbe dovuto avere un controllo di fatto sui migranti» e che quindi avrebbe dovuto «condurre i migranti in Italia, e non in Libia, indipendentemente dalle istruzioni libiche».

 

Attorno al caso del respingimento della Asso 29 si è mobilitata la società civile italiana: Amnesty International, Asgi e il collegio difensivo composto dallз avvocatз Cristina Laura Cecchini, Luca Saltalamacchia, Giulia Crescini, Alberto Guariso, Salvatore Fachile, Lucia Gennari e Loredana Leo; il Josi&Loni Project, nato proprio a partire da questo evento, che ha svolto un rilevantissimo lavoro di ricostruzione degli eventi e di contatto continuo con le persone sopravvissute.

 

«Sono numerose le persone sopravvissute a quel respingimento che si trovano ancora in Libia e con le quali stiamo lavorando affinché possano entrare legalmente in Italia e chiedervi protezione» raccontano lз legali dell’Asgi.

 

 

 

Asso 29 – Immagine da Augusta Offshore