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Morto a 98 anni Jürgen Moltmann, gigante della teologia contemporanea

Dalla Teologia della Speranza alla riflessione teologica sulla croce, dall’ecumenismo fino all’impegno ecologico e molto altro in una vita colma di riflessioni e incontri

 

«Nella vita cristiana la priorità appartiene alla fede, ma il primato alla speranza. Senza la conoscenza di Cristo che si ha per la fede, la speranza diverrebbe un’utopia sospesa in aria. Ma, senza la speranza, la fede decade divenendo tiepida e poi morta. Per mezzo della fede l’uomo trova il sentiero della vera vita, ma soltanto la speranza ve lo mantiene» (“Teologia della Speranza”, 1964).

 

È morto a Tubinga in Germania lunedì 3 giugno, e la famiglia lo ha comunicato ieri, Jürgen Moltmann,  uno dei più grandi teologi del nostro tempo. La sua “Teologia della speranza“, pubblicata nel 1964, è stata tradotta in numerose lingue e ha influenzato i cristiani di tutto il mondo. Aveva 98 anni.

L’attuale presidente del consiglio della Chiesa evangelica in Germania (Ekd), Kirsten Fehrs, ha elogiato Moltmann come un «dono unico» per la Chiesa protestante.  «La Chiesa deve a Moltmann una quantità infinita di doni ricevuti: ampiezza di cuore ecumenica, una buona dose di radicalismo scientifico, coraggio politico e speranza illimitata».

«Io stessa ho sempre ammirato il suo modo speciale di entrare in altri contesti in modo del tutto semplice e di rendere comprensibile la teologia in mondi a lui estranei», ha aggiunto Fehrs. 

 

Moltmann era nato ad Amburgo l’8 aprile 1926, figlio di una famiglia di insegnanti, ed è stato prima pastore a Brema e poi professore di storia dogmatica all’Università ecclesiale di Wuppertal prima di essere nominato a Bonn nel 1963. Dal 1967 fino al suo pensionamento nel 1994 ha insegnato a Tubinga. Era sposato con la teologa femminista Elisabeth Moltmann-Wendel, morta nel 2016.

La sua prima opera “Teologia della speranza” del 1964 è stata considerata una svolta nella teologia dell’epoca.

 

«Con il suo lavoro teologico Jürgen Moltmann ha influenzato la Chiesa e la società a livello internazionale – recita il sito della Chiesa evangelica in Germania -. Soprattutto la “Teologia della speranza” ha influenzato numerosi teologi sin dalla sua pubblicazione negli anni ’60 e ha innescato dibattiti che si sono irradiati ben oltre la Chiesa protestante. Basata sulla speranza cristiana della risurrezione, la teologia di Moltmann, potente sia nel pensiero che nel linguaggio, continua ancora oggi a fornire impulsi per un concreto impegno di emancipazione. Successivamente, tra l’altro, diede importanti contributi per una teologia ecumenica sul Creato e la sua tutela.

Per l’occasione riprendiamo una biografia scritta dal professor Fulvio Ferrario,  docente di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia di Roma.

Il testo è tratto dal sito www.credereoggi.it:

 

Moltmann nasce nel 1926 ad Amburgo in una famiglia protestante liberale alquanto secolarizzata, nella quale, a suo dire, Lessing (1729-1781), Goethe (1749-1832) e persino Nietzsche (1844-1900) sono più letti della Bibbia. I suoi interessi culturali adolescenziali vertono soprattutto sulla fisica.

Prima però di potersi iscrivere all’università viene arruolato nella Wehrmacht e nel luglio 1943 vive, come addetto a una batteria contraerea, il violento bombardamento di Amburgo. Il commilitone che gli è accanto cade ucciso, esperienza questa spesso menzionata negli scritti autobiografici della maturità e che determina riflessioni drammatiche.

 

Dopo un’esperienza al fronte, viene fatto prigioniero nel 1945 e trascorre tre anni nei campi di concentramento alleati, prima in Belgio e poi in Scozia. Nei tre anni di prigionia nasce e si approfondisce l’interesse per la fede cristiana, naturalmente articolato intorno alle grandi domande sulla vita e la morte, la colpa individuale e collettiva, la presenza di Dio nella storia. Legge intensamente la Bibbia, dialoga con compagni di prigionia e cristiani britannici, matura una vocazione cristiana.

 

Rientrato in Germania nel 1948, si iscrive alla facoltà di teologia di Gottinga e matura la decisione di diventare pastore evangelico, pur non avendo alle spalle l’educazione ecclesiastica e la frequentazione della chiesa allora normali tra i candidati al ministero. A Gottinga conosce Elizabeth Wendel (1926-2016), come lui studentessa in teologia e che diverrà sua moglie, nonché partner decisiva del suo itinerario teologico. Tra i docenti sono particolarmente importanti le figure di Otto Weber (1902-1966), discepolo di Karl Barth (1886-1968), e di Hans Joachin Iwand (1899-1960), esponente di rilievo della chiesa confessante negli anni del nazionalsocialismo.

 

Diventato pastore, Moltmann presta servizio nella comunità di Bremen-Wasserhorst. I cinque anni di pastorato determinano l’attenzione nei confronti di quella che egli chiama «teologia del popolo», cioè delle esigenze spirituali della cosiddetta «gente comune», allora particolarmente provata dalla guerra e dalle sue conseguenze. Moltmann sottolinea spesso che la sua successiva produzione teologica rimarrà legata all’esperienza pastorale: egli non appartiene a quel tipo di teologi che intende separare la cattedra dal pulpito, il che non è senza rapporto col dato di fatto che i suoi sono tra i testi teologici più letti in assoluto in tutto il mondo. Il lavoro pastorale non gli impedisce di conseguire il dottorato in teologia e, nel 1958, egli accetta l’incarico di docente nella facoltà ecclesiastica (non appartenente, cioè, a un’università statale) riformata di Wuppertal.

 

Qui nasce l’opera che lo renderà famoso, la Teologia della speranza: un testo audace e innovatore che, egli afferma, non avrebbe potuto essere scritto nell’ambiente accademicamente più pretenzioso delle facoltà statali. In questi anni Moltmann si confronta con la «teologia dell’Antico Testamento» di Gerhard Von Rad (1901-1971), Walther Zimmerli (1907-1983), Hans Walter Wolff (1911-1993), Hans-Joachim Kraus (1918-2000) e, naturalmente, con il pensiero di Rudolf Bultmann (1884-1976), allora dominante.

Ma è soprattutto nel discepolo e critico di Bultmann, Ernst Käsemann (1906-1998), che egli trova le idee esegetiche fondamentali per la sua opera teologica. Secondo Käsemann l’apocalittica, lungi dall’essere un’escrescenza mitologica sul terreno dell’annuncio cristiano, pone la domanda teologicamente decisiva, quella della signoria di Dio in questo mondo, sottolineando così la valenza drammaticamente politica dell’escatologia.

 

Decisivo è poi l’incontro con il pensiero di Ernst Bloch (1885-1977), mediante un’intensa lettura estiva del Principio speranza, opera che lo affascina al punto di impedirgli la contemplazione delle montagne svizzere tra le quali trascorreva la vacanza. Nel 1963 accetta una chiamata all’università di Tubinga, dove rimarrà fino al termine dell’insegnamento.

 

Il lavoro accademico, che si condensa soprattutto nelle due opere Il Dio crocifisso (1972) e La chiesa nella forza dello Spirito (1975) è nutrito da una serie di esperienze culturali e spirituali. Menzioniamo anzitutto il dialogo tra cristiani e marxisti, nel quale viene approfondita la valenza politica della fede cristiana, tema al quale Moltmann era già in precedenza molto sensibile; in questo quadro si colloca anche l’incontro con Johann-Baptist Metz (1928-), cattolico e allievo di Karl Rahner (1904-1984): insieme a lui Moltmann elabora una «teologia politica» europea.

Essa è in dialogo serrato, ma non acritico, con le teologie della liberazione latinoamericana, nera e con la teologia minju sudcoreana. Più tardi diventerà centrale anche il confronto con il femminismo, che per Moltmann comincia in famiglia. La grande simpatia del teologo nei confronti di queste esperienze di pensiero provenienti da altri contesti non gli risparmia critiche anche piuttosto aspre in quanto, gli si dice, egli, con tutto il suo progressismo, rimarrebbe un teologo accademico del mondo ricco, non inserito in quella che ci si compiace di chiamare «la concretezza della prassi di liberazione». Moltmann reagisce con compostezza, anche se a volte non senza dispiacere, semplicemente rilevando che, se nessuno può sfuggire alla propria storia, si può tuttavia fare in modo che essa si lasci interrogare criticamente.

 

Molto importante inoltre il confronto interconfessionale, condotto anche in quanto membro della commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC). In tale ambito Moltmann incontra e approfondisce, oltre a quella cattolica, la teologia ortodossa (in particolare nella persona del rumeno Dumitru Stǎniloae [1903-1993]), che influenzerà profondamente la seconda fase della sua produzione.

Importante anche il dialogo con il pensiero ebraico (Franz Rosenzweig [1886-1929], Gershom Scholem [1897-1982], Schalom Ben-Chorin [1913-1999], Pinchas Lapide [1922-1997] soprattutto), in vista dell’elaborazione di una teologia «dopo Auschwitz». Mi permetto di ribadire a questo punto un elemento già menzionato: questa molteplicità di orizzonti mutuati dalla storia (liberazione, ecumenismo, ecologia, ebraismo) può far pensare a un’affannosa e un po’ patetica rincorsa dell’attualità. Non è il caso. Certo, il rapporto di Moltmann con le sollecitazioni storiche non è consapevolmente (e polemicamente) implicito, come ad esempio quello della teologia di Barth, bensì assolutamente vistoso e ripetutamente dichiarato e tematizzato. Tuttavia l’autonomia del pensiero teologico è garantita da una competenza di altissimo livello e la sintesi di «militanza» e «scientificità» è in qualche modo lo specifico dell’autore.


Nel 1980 inizia quella che possiamo definire la seconda fase del pensiero moltmanniano. Se fino ad allora il teologo aveva svolto «l’intera teologia in un punto focale» (di volta in volta: l’escatologia, la croce, un’ecclesiologia pneumatica), ora egli propore una «teologia in movimento, dialogo, conflitto», percorrendo alcuni punti nodali della dogmatica cristiana in quelli che egli chiama «Contributi sistematici di teologia», una serie di sei volumi dedicati rispettivamente: alla dottrina trinitaria, alla creazione, alla cristologia, alla pneumatologia, all’escatologia e al metodo teologico.

Si tratta di opere al tempo stesso molto dense e assai leggibili, non destinate soltanto al pubblico degli addetti ai lavori, pur non rifuggendo dagli aspetti tecnici del lavoro teologico.

 

L’interesse politico e quello ecumenico si arricchiscono di nuovi orizzonti, come quello ecologico, e sono organizzati intorno alla centralità del pensiero trinitario. La produzione scientifica del teologo è accompagnata da un’intesa attività di conferenziere e dall’appassionata partecipazione alle vicende del proprio tempo: dalla contestazione studentesca, durante la quale egli critica la legislazione di emergenza introdotta in Germania, alle lotte di liberazione, all’evoluzione dei rapporti Est-Ovest fino al crollo del muro di Berlino, fino, come si è detto, all’imporsi del movimento delle donne e del femminismo.

 

La pastora valdese Sara Heinrich solo pochi anni fa in occasione del convegno organizzato alla Evangelische Akademie a Bad Boll in occasione del 95° compleanno di Moltmann ci ha ricordato che  «La Teologia della speranza è nata negli anni 60 come proposta cristiana per realizzare un mondo capace di resistere ai sistemi totalitari mettendo al centro la questione della giustizia e della pace, ed è diventata punto di riferimento per un’intera generazione. Ancora a 95 anni Jürgen Moltmann ci tiene a ricordare che è stato consacrato di fronte al testo della Dichiarazione teologica di Barmen. Moltmann afferma, anche durante il convegno, «La speranza è la fondamentale forza della resistenza».

 

Il contesto socio-politico in cui è nata la Teologia della speranza è senza dubbio diverso dal contesto di oggi, ma comunque il bisogno di una teologia della speranza che riesca a resistere alle fake news, alle teorie del complotto e ai dualismi semplicistici del populismo non è venuto meno.

 

È stato il presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca (Ekd) Heinrich Bedford-Strohm a indicare nella sua predicazione su Matteo 5, 38-48 uno dei campi concreti in cui la Teologia della speranza può e deve dare orientamento per il nostro agire. Ha parlato della situazione nel mare Mediterraneo dove i governi europei tollerano la morte di uomini, donne e bambini, come anche della violenza che subiscono i migranti ai confini del Europa. Si potrebbero aggiungere ancora altre crisi del nostro tempo, come il cambiamento climatico, che richiede un nostro agire deciso e coraggioso, come lo descrive Jürgen Moltmann nella sua Teologia della speranza: «Il regno di Cristo risorto che sta per avvenire non si può solo sperare ed attendere. Questa speranza e attesa caratterizza la vita, l’agire e soffrire nella storia della società umana […] Non diventare uguale a questo mondo non significa solo cambiare dentro noi stessi ma significa anche cambiare il mondo nella resistenza e nella attesa creatrice in cui crediamo, speriamo e amiamo».

 

A questo link è disponibile l’intervista che il capo redattore della trasmissione televisiva Protestantesimo Marco Davite fece a Moltmann nel 2018, quando il teologo si trovava in Italia per partecipare al convegno ecumenico “Un Creato da custodire”. Qui di seguito un piccolo estratto:

Lei è padre della teologia della speranza. Se ci guardiamo intorno, ci sono poche ragioni per essere ottimisti: c’è ancora spazio per la speranza oggi?

«Se noi guardiamo al “contesto” attuale, non c’è speranza. Ma se siamo credenti, allora dobbiamo guardare al “Testo”, quello con la T maiuscola, la Bibbia. Quel testo è pieno di promesse e di speranza. È la speranza di una nuova creazione, che non è proiettata nell’al di là ma è iniziata con la resurrezione di Cristo. Lo Spirito della vita viene versato su tutta l’umanità, e la speranza guarda al nuovo cielo, alla nuova terra e alla giustizia. Ed è con questa speranza che vogliamo impegnarci per difendere la natura dalla distruzione, dal riscaldamento globale, che non sommergerà solo il Myanmar ma anche la mia città natale, Amburgo. È questa speranza che ci spinge a fare tutto quello che è nelle nostre possibilità per permettere ai nostri figli, e ai figli dei figli, di vivere».

 

L’edizione italiana della «Teologia della speranza»

L’edizione italiana della Teologia della speranza uscì per i tipi dell’editrice cattolica Queriniana (1970) nella traduzione del pastore valdese Aldo Comba, come ha opportunamente ricordato anche Marco Ventura nel supplemento «La lettura» del Corriere della sera (24 marzo).

 

Aldo Comba, a cui si deve anche la traduzione del Lutero di R. Bainton (Einaudi, 1960) e la prima edizione italiana dell’Etica di D. Bonhoeffer (Bompiani, 1969), ricorda quel lavoro nelle pagine del suo racconto autobiografico Finestre sul mondo (a c. di M. G. Borgarello, Claudiana, 2017): «Il tedesco di Moltmann non era particolarmente difficile da tradurre (…), ma il suo pensiero è denso e profondo, quindi il problema è di renderlo in un italiano leggibile e scorrevole, che inviti il lettore a proseguire (…) L’edizione italiana della Teologia della speranza ha poi ottenuto, verso il 1970, il premio letterario “Isola d’Elba” e Moltmann, fraternamente, mi ha detto: “Se l’edizione italiana ha vinto il premio, sarà anche merito del traduttore!”, e ha condiviso con me il premio».

 

Sul testo di Moltmann, in particolare, il pastore Comba aggiunge: «A me sembra che il tema della speranza non soltanto sia esplicitato in questo lavoro, ma sottenda in un certo senso tutta l’opera di Moltmann. È un tema estremamente evangelico (…). Quando, talvolta, nelle celebrazioni funebri, si parla della “speranza certa della vita eterna”, non c’è una contraddizione tra speranza e certezza: la vita eterna è una certezza che non hai ancora toccato con mano. La speranza è dunque uno degli elementi fondamentali della spiritualità e della vita cristiana. Per Moltmann il fondamento della speranza è il Risorto. E su questo punto insiste a fondo (…). Meditare sulle pagine di Moltmann aiuta, senza dubbio, ad avere una più chiara visione di certi aspetti essenziali della fede e della vita cristiana. Molti credenti farebbero bene a riprendere questo volume e a leggerlo senza fretta, riflettendo con calma su quanto esposto». 

 

Fra gli altri libri del teologo

Oltre alla Teologia della speranza, l’editrice Queriniana ha pubblicato nel 1973 Il Dio crocifisso, uscito in Germania l’anno precedente; al filosofo Ernst Bloch (autore del Principio speranza, ultima ed. italiana Garzanti 1994), che aveva compiuto 90 anni nel 1975, Moltmann dedicò In dialogo con Ernst Bloch (1975); seguono ancora L’avvento di Dio. Escatologia cristiana (Queriniana 1998); Dio nel progetto del mondo moderno. Contributi per una rilevanza pubblica della teologia (1999); Scienza e sapienza. Scienza e teologia in dialogo (2002/2003), mentre il tema centrale nella sua teologia, ripreso con Nella fine l’inizio. Una piccola teologia della speranza (2003/2004) ritorna poi ancora con Etica della speranza (2010/2011).

 

Un’autobiografia di Jürgen Moltmann è uscita nel 2006 in originale, e tre anni dopo in italiano, sempre per Queriniana, con il titolo Vasto spazio. Storia di una vita. La casa editrice Claudiana ha pubblicato nel 1986 un saggio dal titolo Diaconia. Il servizio cristiano nella prospettiva del Regno di Dio, e Passione per Dio. Teologia a due voci (2005), scritto con la moglie Elisabeth Moltmann-Wendel e, in ultimo, Teologia politica del mondo moderno (2022). Un bello studio dedicato al teologo si deve a Daria Dibitonto: Dio nel mondo e il mondo in Dio. Jürgen Moltmann tra teologia e filosofia, per conto del Centro studi “Luigi Pareyson” di Torino (Trauben, 2007).

 

 

FOTO: BY MAETERLINCK – OWN WORKCC BY-SA 4.0, HTTPS://COMMONS.WIKIMEDIA.ORG/W/INDEX.PHP?CURID=47596265