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Nuova Caledonia, come siamo arrivati fino a qui?

Scontri nel possedimento d’oltremare francese. Il ruolo delle chiese, lo scontro fra popolazioni locali e nuovi arrivati dalla Francia

 

«Dopo le ore drammatiche che il nostro Paese sta vivendo in queste settimane, i disastri indicibili e incalcolabili che si sono verificati e si svolgono ancora davanti ai nostri occhi, con queste vite portate via, i cristiani  non possono rimanere spettatori muti dalla tempesta che ci sta colpendo in questo momento. Dobbiamo fare la nostra parte per dare una possibilità alla pace. Protestanti, cattolici, cristiani, tutti siamo stati battezzati, immersi nello stesso battesimo, che aa donato a tutti noi la stessa vita divina, un’identità comune, lo stesso Dna».

 

Così apre il comunicato che la Chiesa protestante Kanaky della Nuova Caledonia (40mila membri su una popolazione totale di circa 270 mila persone) ha reso noto in questi giorni in relazione ai nuovi forti scontri che si stanno verificando nelle isole del possedimento d’oltremare francese. Tanto che il presidente Emmanuel Macron vi si è recato in fretta e furia in visita ufficiale nei giorni scorsi.

 

Ancora una volta, l’arcipelago è associato a violenze, blocchi, morti ingiuste e all’invio di ulteriori forze dalla terraferma per ristabilire l’ordine. Tuttavia, guardando quello che è successo dall’ultimo referendum del 2021, pochissimi dei tre principi repubblicani di libertà, uguaglianza e fraternità sono stati attuati. Come siamo arrivati ​​qui?

 

Queste ultime proteste sono scoppiate dopo la proposta di una riforma costituzionale che, rendendo più semplice l’ottenimento dell’estensione di voto ai cittadini francesi trasferiti nelle isole, andrà a rendere sempre meno rilevante la percentuale delle popolazioni indigene. Con la conseguenza di un peso sempre minore nelle decisioni politiche. 

 

Una tendenza già in corso come hanno anche dimostrato i tre referendum degli ultimi anni che dovevano sancire o meno l’indipendenza da Parigi, tutti bocciati per il contributo decisivo dei votanti originari dell’”Esagono”.

 

Le consultazioni popolari del 4 novembre 2018 e del 4 ottobre 2020, organizzate nell’ambito del processo di decolonizzazione previsti dagli Accordi di Nouméa, erano state sempre vinte dai filofrancesi con il 56,7% e poi il 53,3% dei voti. Il terzo e ultimo nel dicembre 2021 aveva visto un risultato ancora più netto, dovuto però al boicottaggio delle urne da parte delle popolazioni locali che avevano a più riprese chiesto il rinvio data l’impossibilità di svolgere una normale campagna informativa a causa dell’emergenza pandemica allora in corso.

 

Dopo 170 anni da quel 1853 in cui la Francia si impossessò dell’arcipelago, la politica coloniale di Parigi non ha dunque ancora una fine.

 

Un quarto delle riserve mondiali di Nichel si trova qui. Elemento fondamentale per la fabbricazione dell’acciaio inox, delle monete, delle batterie, dei vestiti, dei cosmetici e di molto altro ancora. il Nichel ha un’enorme valore industriale (100 mila tonnellate annue estratte, un quarto del totale mondiale) e il business è ovviamente in mani francesi, fra le proteste per l’inquinamento correlato alla presenza di aziende metallurgiche, accusate di danneggiare la delicata e preziosa barriera corallina e in generale l’equilibrio flora-faunistico dell’area. 

 

Sul sito della Cevaa, la Comunità di chiese in missione, di cui la Chiesa valdese è fra le fondatrici e la Chiesa Kanaky ne fa parte, Gilles Vidal, docente presso l’Istituto Protestante di Teologia di Montpellier, inviato da Cevaa in Nuova Caledonia come insegnante dal 1988 al 1990 e dal 2003 al 2007, ripercorre gli eventi che hanno portato alla situazione cui stiamo assistendo e ricorda che «L’ultima assemblea delle Chiese del Pacifico, ospitata a Nouméa nel novembre 2003, ha mostrato chiaramente l’inserimento della Chiesa di Nuova Caledonia, a maggioranza Kanaka, nel folto gruppo delle Chiese oceaniche e dei popoli che chiamano a decolonizzare, smilitarizzare e decarbonizzare il loro spazio vitale nella speranza di goderne ancora secondo i canoni di cultura e spiritualità che gli sono propri. 

In Nuova Caledonia oggi soffre l’intera popolazione. Tra loro, molti fratelli e sorelle protestanti. La missione protestante, negli anni Cinquanta, sostenne l’impegno dei Kanak nella vita politica attraverso la creazione, insieme con la missione cattolica, del partito autonomista Unione Caledoniana. Poi la Chiesa evangelica nata dalla missione prese posizione nel 1979 a favore dell’indipendenza durante il suo sinodo annuale.

 

Oggi ha cambiato nome, ma non linea: indipendenza non violenta, nel rispetto di tutte le comunità etniche e di tutte le sensibilità politiche. È, con la Chiesa cattolica e altre forze civili come il Consiglio degli Anziani, una delle componenti di cui bisogna tener conto per riannodare un filo di discussione interrotto dalla cecità e dalla sordità.

 

Forse non è ancora troppo tardi per la mediazione, una missione di dialogo veramente neutrale e rappresentativa della società civile. Attenzione, però, a non dare ancora una volta l’impressione di schemi paternalistici o colonialisti che suggeriscano che il futuro si decide a 20.000 km dalla realtà sul campo. Ci sono risorse locali, persone sagge riconosciute e senza dubbio reti internazionali, il Consiglio ecumenico delle Chiese e la sua emanazione regionale, la Conferenza delle Chiese del Pacifico (Pcc) o la stessa Cevaa che potrebbero rivelarsi preziosi intermediari per una pace sostenibile».

 

Interviene anche la Federazione protestante di Francia con un comunicato che ricorda come «Le devastanti rivolte vissute dalla Nuova Caledonia testimoniano che i giovani Kanak non hanno trovato né le promesse sociali della Repubblica, né quelle delle autorità locali.

 

Il protestantesimo francese ricorda il ruolo decisivo delle Chiese, e in particolare della Federazione protestante di Francia (Fpf), nella missione di dialogo e di riconciliazione che ha permesso di porre fine alla violenza degli anni ’80.

 

In un momento in cui il Presidente della Repubblica si reca in Nuova Caledonia per riprendere il dialogo la Federazione protestante di Francia invita lo Stato francese a riconnettersi con uno spirito di ascolto e un posizionamento più neutrale al fine di favorire la ripresa di un dialogo rispettoso e il superamento delle reciproche ferite.

 

I protestanti di tutta la Francia condividono il dolore degli abitanti della Nuova Caledonia durante questi tempi difficili e si uniscono alle loro preghiere per il ritorno alla pace».

 

Residui di epoche coloniali di sfruttamento economico e culturale che sembrano appartenere a un’epoca passata ma che evidentemente così non è. 

 

 

 

Foto, il tempio della capitale Noumea, di Par Torbenbrinker — Travail personnel, CC BY-SA 3.0,