Nascono i “corridoi lavorativi”
Diaconia valdese protagonista di un innovativo progetto che incrocia le capacità delle persone rifugiate e le necessità delle aziende
Grazie ai “Corridoi umanitari”, progetto che è nato dieci anni fa da un protocollo di intesa fra Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Tavola valdese, Comunità di Sant’Egidio e ministeri dell’interno, degli esteri e del lavoro, oltre settemila persone in condizioni di vulnerabilità fino a oggi hanno potuto entrare in sicurezza in Europa, la metà circa dei quali nel nostro Paese.
In questi giorni la stipula di un nuovo protocollo porterà alla creazione di “Corridoi lavorativi”, riservati a persone che vivono nei campi profughi e che sono in cerca di un impiego.
Il protocollo riguarderà persone che verranno formate sia da un punto di vista professionale che di apprendimento della lingua italiana, per poi giungere in sicurezza in Italia con la garanzia di un posto di lavoro e di un alloggio.
Al progetto, che vede il coinvolgimento anche dei ministeri degli Esteri e degli Interni, partecipano realtà del Terzo Settore, tra cui la Diaconia Valdese, nell’ottica di un lavoro di inclusione e inserimento nella rete sociale e territoriale, che possa fungere da modello esportabile anche in altre situazioni. I primi arrivi a Torino sono previsti entro la fine del 2024.
La Diaconia Valdese a tal fine ha incontrato ieri, 23 maggio 2024, il Ministro del Lavoro Marina Calderone insieme ai partner dell’Unione Industriali Torino, UNHCR, Talent Beyond Boundaries e Pathways International per discutere di tali nuovi corridoi lavorativi per rifugiati.
«I Corridoi Lavorativi – afferma Loretta Malan, direttrice dei Servizi Inclusione della Diaconia Valdese – sono una sfida che andava assolutamente colta. L’approvazione ufficiale da parte del Ministero del primo progetto formativo che consentirà l’ingresso legale in Italia di lavoratori rifugiati è frutto di una programmazione che coinvolge molti attori dei settori pubblico, privato e sociale, dal livello nazionale a quello territoriale. Si tratta di una iniziativa innovativa che apre a una diversa narrazione dei percorsi migratori, ma anche a una rivalutazione del lavoro come mezzo di realizzazione di sé».
Il protocollo, mutuato da un esempio simile operativo da alcuni anni in Canada, consentirà da un lato alle aziende italiane, in enorme sofferenza di lavoratori, di reperire forza lavoro formata e professionale, e a donne e uomini in fuga dal loro Paese, con titoli di studio di vario livello, di poter giungere in Italia ed iniziare immediatamente a lavorare.
«Il primo intervento previsto a partire da luglio verrà attuato nei campi profughi in Uganda – ci racconta ancora Malan-. Verranno coinvolte nella formazione direttamente le aziende italiane, sia con modalità in remoto che in presenza, grazie all’adesione convinta e entusiasta di Confindustria Torino. Si tratterà in questo caso di lavoratori ad alta professionalità nel campo delle nuove tecnologie».
Questa procedura è indipendente dai numeri di ingressi stabiliti ogni anno dai decreti flussi governativi, ed è anche svincolata dai vari “click day” o dalle finestre temporali. In sostanza una volta frequentati i corsi e superato un test attitudinale sulla lingua e sulla mansione preposta, l’arrivo in Italia può avvenire immediatamente.
Un progetto che ribadisce Malan «Serve anche a mutare la consueta narrazione stereotipata, che noi sappiamo bene essere falsa, di persone che arrivano nel nostro Paese per accedere soltanto a servizi di puro assistenzialismo. L’incrocio fra le necessità delle aziende e le professionalità di queste persone in fuga da guerre e carestie, rappresenta dunque una sintesi fra le varie esigenze. Un modello che ha ricevuto apprezzamento e finanziamenti da parte degli organismi dell’Unione Europea nella fase di progettazione e che in Italia vede coinvolti ben sette ministeri in un tavolo di concertazione e sviluppo».