Gambia, a rischio la legge che vieta le mutilazioni femminili

Drammatico passo indietro del Parlamento della nazione africana. La reazione del Consiglio delle chiese cristiane del Paese

 

Il 18 marzo scorso, l’Assemblea nazionale del Gambia ha votato a favore dell’abrogazione del divieto di praticare la mutilazione genitale femminile, rischiando di diventare il primo paese al mondo a retrocedere su questa importante questione.

 

Bandite dal 2015 dall’ex presidente Yahyah Jammeh, le mutilazioni genitali femminili potrebbero essere nuovamente legalizzate. Un timore che cresce dal 18 marzo, data del voto a stragrande maggioranza, di un disegno di legge in tal senso da restituire ai deputati entro tre mesi.

Nello specifico, il Gambia si distingue per essere uno dei paesi con la più alta incidenza del fenomeno, che coinvolge circa il 75% delle donne tra i 15 e i 49 anni.

 

Come spiega Beatrice Romani sulla rivista “Focus on Africa” ideata e fondata dalla giornalista Antonella Napoli, «La mutilazione genitale femminile è una pratica diffusa in diverse regioni dell’Africa e del Medio Oriente, che prevede la straziante rimozione, totale o parziale, degli organi genitali esterni femminili, non per finalità mediche o terapeutiche. Uno dei metodi più diffusi è l’infibulazione, che comporta la chiusura quasi completa dell’ostio vulvare, spesso accompagnata dalla clitoridectomia, ovvero la rimozione chirurgica del clitoride.

 

La tipologia di mutilazione, l’età delle vittime e le modalità di esecuzione variano a seconda di diversi fattori, tra cui l’etnia di provenienza, il paese e la zona (rurale o urbana) in cui vivono le ragazze. Solitamente, le mutilazioni vengono praticate nella fascia di età compresa tra i 4 e i 15 anni, anche se in alcuni paesi si registrano casi di bambine già nei primi mesi di vita».

Per legittimare la sua proposta di legge intesa a «preservare i principi religiosi e i valori culturali del Paese», il deputato Almameh Gibba ha già affermato davanti ai suoi colleghi che il divieto di escissione in vigore costituisce una violazione diretta del diritto dei cittadini di praticare la propria cultura e religione. Nel suo progetto è sostenuto dall’influente leader religioso musulmano Abdoulie Fatty e dal Consiglio islamico supremo del Gambia.

 

In questo contesto, la reazione delle Chiese membro delConsiglio cristiano (che comprende la Chiesa evangelica luterana del Gambia) si basa su «una parola unitaria che mira a proteggere i diritti delle donne così come sono sostenuti a livello globale, e non sulla prospettiva del fondamentalismo islamico».

 

Le chiese del Consiglio cristiano del Gambia sono tuttavia caute e stanno pregando insieme per un dialogo interreligioso con i leader musulmani conservatori affinché riconsiderino le loro posizioni e accettino di dare alle donne il potere di proteggere i diritti fondamentali.

 

Cevaa, la Comunità di chiese in missione, di cui è parte attiva anche la Chiesa valdese, sul proprio sito manifesta il pieno sostegno alla Chiesa evangelica luterana del Gambia e alle chiese sorelle del Consiglio cristiano. Invita tutti i suoi membri ad unirsi alle loro preghiere.

 

Il mensile Nigrizia rende conto delle coraggiose manifestazioni femminili organizzate nella capitale Banjul e delle proteste internazionali che, si spera, possano portare a ripensamenti. Ma in una nazione dove le donne hanno una rappresentanza politica e un peso sociale residuale il rischio che ciò non accade è purtroppo molto concreto.

 

“Voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando mani pure, senza ira né pensieri malvagi. » 1 Timoteo 2:8.