La pratica della memoria

Un giorno una parola – commento a Esodo 23, 9

 

Non opprimere lo straniero; voi conoscete lo stato d’animo dello straniero, poiché siete stati stranieri nel paese d’Egitto.

Esodo 23, 9

 

Allora i giusti domanderanno: «Signore, quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto?». E il re risponderà loro: «In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me»

Matteo 25, 37.38.40

 

 

In ogni chiesa, in ogni classe di catechismo, si dovrebbe proiettare a scadenze regolari un film del 1973 intitolato Pane e cioccolata, di Franco Brusati, con Nino Manfredi e Johnny Dorelli. Racconta le disavventure, più tragiche che comiche, di alcuni emigrati italiani negli anni ‘60 del secolo scorso e ci permette di capire perché dobbiamo promuovere un rapporto corretto con chi è straniero o straniera.

 

Quel film ce lo mostra in modo “biblico”, seppure non dichiarato. Per affrontare un tema così cruciale ed attuale, infatti, la Scrittura propone una pedagogia sorprendente, patrimonio di quasi tutti coloro che abitano il nostro Paese: la pratica della memoria. Quando incontri qualcuno che è straniero, ricordi cosa ti ha raccontato tuo nonno, quando ha dovuto lasciare il paese per attraversare il mare o le Alpi? Quali ansie ha espresso tua nonna quando i suoi figli erano lontani? Come sono cresciuti i tuoi genitori, quando percepivano che il paesaggio ideale della loro famiglia e quello reale in cui stavano diventando grandi erano diversi, forse contrapposti? Che i cibi famigliari erano un lusso da nascondere sul fondo della valigia quando si passa la dogana?

 

Tu stesso, tu stessa non hai mai provato il disagio di parlare una lingua “sbagliata”, di avere un accento ridicolo, che ti mette in imbarazzo appena apri bocca? Non ti è mai accaduto di “travestirsi” da nativo, come Nino Manfredi al bar durante la partita di calcio, quando si tinge i capelli di biondo per sembrare svizzero ma si smaschera quando l’Italia segna? È da questa memoria che prende l’avvio quel cammino, certamente faticoso ma indispensabile, quello che si chiama accogliere.

 

Non per essere più buoni, democratici, equanimi: no! perché non siamo smemorati. Perché non abbiamo buttato via tutto quello che abbiamo imparato da chi è venuto prima di noi, che forse noi stessi abbiamo passato. Perché ne abbiamo fatto tesoro, un tesoro prezioso. Amore.