Soggetto o strumento? IA e teologia tra sfida e promessa

L’impatto dell’Intelligenza artificiale sul nostro quotidiano è ancora in larga parte da scoprire. Come ci si avvicina a questa nuova frontiera senza perdere di vista il riferimento alla teologia, che alimenta l’azione e la vita delle nostre chiese?

 

Dal 2006 la Societа San Paolo e le Figlie di San Paolo, istituti religiosi fondati da Giacomo Alberione, organizzano la Settimana della comunicazione in occasione della Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali.

 

All’interno della Settimana, che coinvolge giornalisti, operatori della comunicazione e del mondo dello spettacolo, oltre al mondo ecclesiastico, si svolge il Festival della Comunicazione, ogni anno in una diversa diocesi italiana. Quest’anno tocca alla diocesi di Pinerolo, un territorio molto particolare per la presenza rilevante della Chiesa valdese, che qui ha il suo nucleo storico, rendendolo da decenni un importante laboratorio ecumenico.

 

Il titolo del festival sarà «Restiamo connessi. Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione pienamente umana», che riprende il tema proposto da papa Francesco per la 58a Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali. La programmazione coinvolge anche la Chiesa valdese e il nostro giornale.

 

Domenica 12 maggio alle 18 al tempio valdese di Pinerolo (via dei Mille) si terrà la tavola rotonda «Intelligenza artificiale e parola: dove sta la realtà?», moderata da Alberto Corsani, direttore di Riforma – L’Eco delle valli valdesi. Interverranno la pastora valdese Ilenya Goss, coordinatrice della Commissione per i problemi etici posti dalla scienza delle chiese battiste, metodiste e valdesi, laureata in Teologia, Filosofia, Medicina e Chirurgia, che rifletterà su «Soggetto o strumento? IA e Teologia tra sfida e promessa». L’avvocata Ilaria Valenzi, Università La Sapienza di Roma, consulente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, parlerà invece del rapporto fra «Intelligenza artificiale e diritti fondamentali». Paolo Zebelloni, presidente del Consiglio di chiesa di Pinerolo, ingegnere, affronterà il tema dal punto di vista delle scienze, riflettendo sulle «implicazioni (anche) etiche della tecnologia e sul confine sempre più labile tra vero/verosimile/falso». 

L’articolo che segue è proprio una riflessione della pastora Goss.

 

Quale può essere il rapporto tra Intelligenza artificiale e teologia? Il semplice fatto di porre la domanda suggerisce che se alcune discipline mostrano facilmente, anche a un pubblico di non addetti ai lavori, la potenziale applicazione dell’Intelligenza artificiale nel loro ambito, altre sembrano più distanti, quando non decisamente refrattarie alla rivoluzione digitale e alle sue ampie e pervasive ricadute. Definire l’Intelligenza artificiale non è facile: infatti, da quando si è iniziato a parlarne nel XX secolo come progetto informatico, tecnologico e matematico-statistico per lo sviluppo di macchine capaci di prestazioni dette “intelligenti” quando svolte da esseri umani, il concetto è molto cambiato: il ridimensionamento delle aspettative ha fatto tramontare definizioni “forti” di IA per passare a prospettive realistiche di sviluppo che comunque interrogano profondamente il pensiero e l’autocoscienza umana.

 

L’impatto dell’Intelligenza artificiale sulla nostra vita quotidiana e sugli equilibri politici, sociali ed economici su vasta scala comincia solo ora a essere percepito da un pubblico ampio: dall’esperienza semplice dei chatbot all’assistente virtuale che abbiamo in casa, alla domotica, alle applicazioni di IA in medicina, nel campo assicurativo, nella gestione delle risorse in azienda, fino agli sviluppi del metaverso, l’ingresso di dispositivi, programmi, macchine “intelligenti” e la necessità di interfacciarsi sempre più frequentemente con interlocutori non-umani ci obbligano a ripensare anche dal punto di vista filosofico e teologico concetti che hanno resistito alla prova di secoli.

 

In questo paesaggio che cambia così rapidamente da scavare un gap sempre più ampio tra le generazioni che ne è dunque della teologia? Di quella disciplina che, come la filosofia, ma su basi differenti e certamente senza un indice di condivisibilità paragonabile alle discipline scientifiche, pone domande irrinunciabili per gli esseri umani? Le questioni che, più volte dichiarate fuori gioco nella cultura occidentale, tornano ad affacciarsi in ogni esistenza individuale e collettiva: il significato dell’esistere, la presenza del dolore, della malattia, della morte, ma anche dell’ingiustizia, della follia, dell’esperienza artistica. Il bisogno di uno scopo, di un amore, di una finalità e di una direzione, il mondo delle relazioni e l’identità individuale e tutta l’immensa area che la nostra cultura ha chiamato etica costituiscono l’ambiente in cui l’IA si inserisce e deve trovare la sua funzione: tuttavia le macchine “intelligenti” (per quanto oggi sia chiaro che la parola non è usata in modo univoco e può essere fuorviante) cambiano il nostro modo di intendere anche la peculiarità del nostro modo di essere nel mondo, la nostra specifica collocazione nella realtà, e dal punto di vista teologico, nella creazione.

 

L’impatto culturale dell’IA in rapporto al mondo religioso non si limita allo stupore declinato in entusiasmo acritico o in terrore oscurantista davanti a un esperimento. L’invenzione del robot BlessU-2 o il “pastore” avatar, il sermone preparato con l’ausilio di ChatGTP, l’informatizzazione di alcuni aspetti della vita delle chiese non sono l’elemento più profondo della rivoluzione che stiamo vivendo: finché l’innovazione è intesa come introduzione di strumenti per l’operare umano in fondo si tratta di gestire una più alta complessità, non di cambiare radicalmente il nostro punto di vista nel mondo. Tuttavia l’impatto dell’IA è tanto forte poiché va a toccare il senso dell’identità dell’essere umano come “intelligente” per definizione: una tradizione culturale che ha identificato l’umano con l’Imago Dei sulla base del dato biblico e ha cercato di individuare e dare forma a questa sua autopercezione viene inevitabilmente interrogata sulle basi stesse di che cosa sia “intelligenza” e di chi sia l’umano che inizia a interfacciarsi con la macchina in modo nuovo. In questo aspetto dell’identità e della relazione la domanda su che cosa sia l’intelligenza, su quale sia il ruolo delle prestazioni intelligenti, su quale sia l’etica dell’uso della macchina che poco a poco si rende “autonoma” nelle decisioni che coinvolgono l’essere umano, l’interrogare filosofico e teologico è chiamato potentemente in causa.

 

La Commissione per i problemi etici posti dalla scienza delle chiese valdesi, metodiste e battiste di cui presiedo i lavori ha da un anno messo in lavorazione il tema dell’IA: non si tratta di un argomento distante dalla vita quotidiana, né dalla profondità del pensiero etico e teologico, anzi, si tratta di lavorare in una zona di frontiera nevralgica nel nostro tempo e di far emergere le criticità delle applicazioni di questo enorme potenziale scientifico e tecnologico nelle vite dei singoli e nei grandi equilibri del nostro mondo. Non si tratta di un lavoro rapido né di un lavoro semplice: lo studio dei problemi e gli scenari che si aprono sono vasti e presto ci si accorge delle implicazioni culturali inevitabili.

 

Tornare a pensare interrogando e lasciandosi confrontare con il testo biblico immersi nella realtà presente e ampliando le proprie competenze non solo di utilizzatori inconsapevoli, ma di soggetti capaci di pensiero critico significa farsi cercatori di quel baricentro sempre in movimento su cui poggia l’identità: il soggetto etico che sta nella relazione con un “Tu” che lo appella, che lo nomina e che con il nome gli apre una via è ora di nuovo spinto a dare nome e funzione alle cose, distinguendo sé stesso dai propri strumenti, sé stesso dal destino in cui cammina e in cui gioca la parte di responsabile non unico. Nella ricollocazione degli oggetti e degli strumenti nel mondo abitato c’è la traccia del compito presente: in un orizzonte che per la teologia è tracciato da una Parola pronunciata non primariamente da bocca di essere umano, ma da una voce inafferrabile alla quale il pensare teologico attribuisce il nome di Dio.

 

In realtà il compito non è nuovo, ma si ripropone con una forma inedita capace di scuotere e risvegliare l’intelligenza da una sorta di torpore, chiamandola a ridefinire sé stessa di fronte a qualcosa che sembra un suo alter e tale non è se non in chiave limitata e funzionale; ciò che realmente è nuovo è invece il tipo di cultura a cui questa rivoluzione sta dando origine, proponendo a noi che ne viviamo gli inizi, la grande questione della sua gestione per le generazioni che verranno.