XXV Aprile: festa nazionale per celebrare la democrazia

«Per troppo tempo forse abbiamo pensato che questa celebrazione avesse assunto un aspetto rituale e retorico. Oggi invece sentiamo una profonda necessità di unirci per ricordarla»

 

Se c’è un anno in cui la celebrazione del XXV aprile – Festa della Liberazione, non è qualcosa di scontato e di consuetudinario è sicuramente questo settantanovesimo anniversario nell’anno 2024. Per troppo tempo forse abbiamo pensato che questa celebrazione avesse assunto un aspetto rituale e retorico, in cui magari per qualcuno era più importante differenziarsi che unirsi. Oggi invece sentiamo una profonda necessità di unirci per ricordarla.

 

Unirci nel ricordo di tutti coloro che dettero il loro apporto alla Liberazione del nostro paese: i partigiani che dopo l’8 settembre salirono in montagna, rischiando in caso di cattura la tortura e la morte, come accadde al nostro Willy Jervis. Gli Internati Militari Italiani, che rifiutarono il ritorno in Italia a combattere per la Repubblica Sociale, come il nostro Giorgio Girardet – se i tedeschi avessero potuto rovesciare sul fronte italiano qualche centinaio di migliaia di soldati italiani, la nostra Liberazione sarebbe stata più lenta e più difficile. La popolazione civile, oggetto di orribili rappresaglie per scoraggiare la Resistenza, e che non cessò di dare il suo indispensabile sostegno ai partigiani. Le Forze Armate del ricostituito Esercito italiano, che nell’aprile 1945 con la brigata “Cremona” sfondarono il fronte ad Alfonsine, aprendo la strada alla Liberazione del Nord. I Carabinieri che si unirono alla Resistenza, come Carlo Alberto Della Chiesa o i tre carabinieri di Fiesole fucilati nell’agosto ’44. Tutti coloro, donne e uomini, che hanno in qualche modo combattuto o aiutato la Liberazione devono essere ricordati in questa data.

 

La lotta di Liberazione ci dette la Costituzione. E già nel 1947 Aldo Moro affermava che la nostra Costituzione è antifascista. È così. Non può non esserlo perché è nata dalla lotta di chi si contrappose alla dittatura.

 

Siamo nel centenario del rapimento e dell’uccisione di Giacomo Matteotti (10 giugno 1924). Ma già nel 1921 un deputato socialista, Giuseppe Di Vagno, era stato ucciso a Mola di Bari, e tanti e tanti dirigenti, sindacalisti, amministratori socialisti, comunisti o anche cattolici come don Minzoni, furono uccisi in quel periodo. Recentemente a Pisa ho ricordato Carlo Cammeo, maestro elementare, socialista, ebreo, tirato fuori di classe e ucciso davanti a suoi ragazzi. Non esiste la tesi che il fascismo fosse una dittatura tutto sommato bonaria fino a quando, alla fine degli anni Trenta, Mussolini, subornato da Hitler, emanò le leggi razziali e successivamente entrò in guerra. Il fascismo andò al potere con la violenza e la sopraffazione e con la violenza e la sopraffazione ci si mantenne, come dimostrano tutti gli strumenti della repressione, dal Tribunale Speciale, al confino di polizia, alla Milizia volontaria per la Sicurezza nazionale.

 

Oggi si parla molto di Nazione e di Patria e anche a me piace parlarne. Vorrei ricordare allora la sorte delle altre nazioni sconfitte: l’Austria, occupata e divisa fino al 1955; il Giappone sotto il proconsolato del generale Mac Arthur fino al 1953; la Germania divisa fino al 1989. Che cosa sarebbe successo della Nazione italiana se non avesse avuto l’antifascismo e la Resistenza?

 

Proprio la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che appartiene a una generazione così lontana da questi avvenimenti, potrebbe riconoscere che non solo – come disse nel suo documento costitutivo Alleanza Nazionale – l’antifascismo era necessario per riconquistare la libertà. Ma che l’antifascismo e la Resistenza sono stati due movimenti politici che hanno avuto rilevanza proprio al fine della difesa e del riscatto della nostra Nazione e della nostra patria, trascinata nel fango dell’alleanza con la Germania nazista e l’impero giapponese.

 

E infine l’ultimo argomento. Dice qualcuno: sì, aveva ragione la Resistenza e torto il fascismo, ma tutto questo non è più attuale, appartiene al passato, non vale la pena di dividerci su queste cose. Ma quale spina dorsale può avere un popolo che non è in grado di rivendicare la propria lotta per la libertà e la democrazia? Per questo vogliamo celebrare con il 25 aprile una festa nazionale, che unisce tutti coloro che nella libertà e nella democrazia ci credono.

 

Siamo in un mondo caratterizzato dal risorgere delle guerre, da troppe situazioni in cui vengono calpestati i diritti dei popoli e delle persone. L’europeismo è nato proprio per la volontà di togliere le radici a quei conflitti nazionali che, partendo dall’Europa, avevano portato alle due guerre mondiali del Novecento. Ne abbiamo parlato a Torre Pellice il 31 agosto scorso con il Presidente Sergio Mattarella. Oggi l’Unione Europea è chiamata a fare qualcosa di più, cioè a dare il proprio essenziale contributo per ricostruire un quadro di relazioni internazionali che riesca a prevenire e risolvere i conflitti nel rispetto dei diritti dei popoli e delle persone.

 

Anche per questo hanno combattuto e si sono sacrificati tutti coloro che hanno partecipato alla Resistenza e alla lotta di Liberazione. E se intorno a questi valori e a questi ideali possiamo trovare il 25 aprile un momento di unità, questo ci consentirà di poter svolgere una dialettica e un dibattito a un livello più avanzato, perché forte per la loro acquisizione dalla grande maggioranza del popolo italiano.