Iran. Un’ulteriore stretta alle libertà femminili
Sorveglianza e sequestri di automobili: così le autorità iraniane applicano le norme sull’obbligo del velo. La denuncia di Amnesty International
«Le autorità iraniane stanno attuando una campagna su vasta scala per applicare le repressive norme sull’obbligo del velo attraverso la massiccia sorveglianza di donne e ragazze negli spazi pubblici e tramite posti di blocco in cui le donne vengono fermate mentre sono alla guida».
Questa è la denuncia Amnesty International alla vigilia della Giornata Internazionale delle donne.
«Decine di migliaia di donne si sono viste sequestrare le proprie automobili per aver sfidato l’obbligo d’indossare il velo; altre sono state processate e condannate al carcere, altre frustate; oppure a pagare multe o a essere costrette a seguire corsi sulla “moralità”».
Per questo nel febbraio 2024 Amnesty International ha deciso di raccogliere la testimonianza di «quarantuno donne, di una trans, una giovane ragazza e quattro uomini» e ha esaminato documenti ufficiali, tra i quali anche fascicoli d’indagine e verdetti di condanna.
Ne è emerso che «numerose agenzie statali iraniane sono coinvolte nella persecuzione di donne e ragazze che stanno semplicemente esercitando il diritto all’autonomia dei loro corpi e alla libertà di espressione».
Amnesty ha messo a disposizione alcuni estratti di venti testimonianze, dalle quali emerge una realtà di terrore quotidiano.
«In un sinistro tentativo di abbattere la resistenza all’obbligo d’indossare il velo, nata sull’onda della rivolta Donna Vita Libertà – si legge nel comunicato stampa –, le autorità iraniane stanno terrorizzando le donne e le ragazze sottoponendole a costanti sorveglianze e controlli stradali, ostacolando la loro vita quotidiana e causando loro immenso stress mentale. Queste tattiche draconiane vanno dai sequestri di massa degli autoveicoli, ai controlli, ai posti di blocco, all’imposizione di pene inumane come le frustate o di periodi di carcere”», ha rilevato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
«Stiamo assistendo a un sensibile aumento della persecuzione ai danni delle donne e delle ragazze a poche settimane dal Consiglio Onu dei diritti umani e dovrà votare l’estensione della Missione di accertamento dei fatti e di indagare sulle violazioni dei diritti umani commessi dopo la morte in custodia di Mahsa/Jina Amini, soprattutto nei confronti delle donne e delle ragazze. Gli stati membri del Consiglio Onu dei diritti umani – si legge ancora – devono reagire all’impunità con cui vengono attaccate le donne e le ragazze iraniane, assicurando che un meccanismo internazionale indipendente continui a raccogliere, consolidare e analizzare le prove, in vista di futuri procedimenti giudiziari».
Tra le agenzie statali incaricate di applicare le norme sul velo ci sono la Polizia morale, la Polizia stradale, le procure, i tribunali, il ministero dell’Intelligence, le Guardie rivoluzionarie, le forze paramilitari basiji e altri agenti che operano in borghese.
Come se non bastassero le azioni di controllo, a partire dall’aprile 2023, «la Polizia morale ha ordinato il sequestro arbitrario di centinaia di migliaia di automobili con donne alla guida o passeggere anche di soli nove anni di età, che non indossavano il velo o che indossavano veli “inappropriati”».
I sequestri vengono eseguiti sulla base di immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza o da verbali redatti da agenti in borghese che pattugliano le strade. La polizia ha a disposizione una app, chiamata Nazer, su cui vengono caricate le targhe dei veicoli.
Le donne prese di mira e i loro parenti – prosegue Amnesty – ricevono messaggi scritti o telefonici minacciosi, nei quali viene loro ordinato di recarsi a una sede della Polizia morale per consegnare l’automobile».
Amnesty International ha esaminato 60 screenshot di tali messaggi, inviati nell’ultimo anno a 22 tra donne e uomini.
«Negli ultimi mesi – conclude Amnesty – le autorità hanno anche effettuato massicci fermi e controlli casuali lungo strade trafficate per individuare donne alla guida prive di velo. Gli agenti obbligano le donne a scendere e fanno una scansione della loro patente per l’app Nazer, marcandola per il sequestro. Le donne sono poi costrette a recarsi a una stazione di polizia per consegnare l’automobile».
Amnesty International ha incontrato undici donne che hanno descritto dìessere state «fermate mentre erano alla guida per recarsi a svolgere attività quotidiane: scuola, lavoro, visite mediche. Hanno sottolineato il completo disprezzo degli agenti di polizia nei loro confronti: alcune donne sono state lasciate ai bordi di strade ad alto scorrimento o in luoghi molto lontani dalle loro abitazioni.
Durante le procedure assai lunghe – ricorda ancora l’organizzazione che difendfe i diritti umani – per tornare in possesso delle automobili, le donne sono sottoposte a trattamenti degradanti, tra offese sessiste, rimproveri, istruzioni umilianti su come coprire i capelli e minacce di frustate, condanne al carcere e divieti di viaggio. In molti casi i dirigenti della Polizia morale ordinano la restituzione dell’automobile dopo 15-30 giorni, a seguito del pagamento arbitrario del costo del parcheggio e del carro-attrezzi e dopo la firma di un documento, da parte della donna interessata o dei loro parenti maschi, in cui ci s’impegna a rispettare le norme sull’obbligo d’indossare il velo».
Le donne intervistate da Amnesty International hanno poi denunciato che l’accesso ai trasporti pubblici, agli aeroporti e ai servizi bancari è regolarmente negato a chi è senza velo. Gli incaricati dell’applicazione delle norme sul velo, soprattutto negli aeroporti, impediscono l’accesso alle donne che indossano un cappello e controllano la lunghezza e la taglia delle maniche, dei pantaloni e delle divise. Questi controlli sono spesso messi in atto «con offese sessiste e minacce d’incriminazione».
A dicembre 2023, infatti, in una stazione della metropolitana di Teheran un controllore ha colpito al petto una ragazza di 21 anni. Un’altra ragazza di 17 anni ha riferito d’essere stata sospesa dopo che una telecamera di sorveglianza l’aveva ripresa senza velo in classe. Amnesty International denuncia il fatto che 15 donne e una sedicenne siano state processate in sette diverse province iraniane «solo perché non avevano indossato il velo o avevano indossato veli “inappropriati”, come ad esempio dei cappelli, mentre erano a bordo delle loro automobili o si trovavano in luoghi pubblici quali centri commerciali, teatri, aeroporti e stazioni della metropolitana o in fotografie postate sulle loro piattaforme social».