Trattenuti

La fotografia dei Dossier «Trattenuti» dedicato ai Centri per il rimpatrio fornisce dati, errori e scenari 

 

Che cosa siano i Centri per il rimpatrio (Cpr) l’abbiamo appreso dagli articoli e dai servizi televisivi, ma soprattutto dalle regolari relazioni inviate dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e che solo lo scorso dicembre aveva effettuato una visita proprio presso il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Roma-Ponte Galeria, oggi nuovamente agli «onori»della cronaca per l’ennesimo suicidio di un ragazzo di 22 anni, Ousmane Sylla, e le tensioni e proteste per quanto accaduto. 

Tuttavia, notizie che poco ci dicono sui Cpr. 

 

Dove sono i centri? Che cosa fanno? Perché sono nati e  sino a dove possono spingere il loro campo d’azione?  Quanto costano al sistema Italia? Sono davvero utili e sono da considerarsi politiche migratorie? Chi sono e da dove vengono le persone trattenute? I Cpr nella narrazione e nella vulgata comune sono spesso equiparati a delle vere e proprie carceri, e se raccontati dal punto di vista dei diritti umani, luoghi inquietanti. 

 

Alcune risposte a queste e a altre domande, sono disponibili nel primo Rapporto intitolato «Trattenuti» che è il frutto di un lavoro collettaneo di raccolta e di analisi di dati prodotto da ActionAid Italia e dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari «redatto – si legge –  per poter avere più informazioni sistematiche sul funzionamento dei Centri per stranieri», definiti dal 2017 Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). 

 

Obiettivo del Rapporto è quello di gettare nuova luce sull’efficacia delle strutture e fornire informazioni per interessati e addetti ai lavori. Soprattutto, si legge, «per far luce sui costi» di uno degli strumenti che prevede raccolta di esseri umani tra i più controversi e i meno trasparenti.

«L’attenzione della società civile rispetto al funzionamento del sistema detentivo per stranieri non è mai mancata in Italia – si legge nel dossier –. Nel corso degli anni, diverse organizzazioni non governative, associazioni, o anche singoli giornalisti, hanno contribuito a far conoscere il funzionamento di tali strutture e senza mai dimenticare le condizioni di detenzione presenti al loro interno». 

 

Tra i primi report sul funzionamento degli allora Centro di Permanenza Temporanea e Assistenza (Cpta), c’è quello pubblicato nel 2004 da Medici senza frontiere. 

Da questo nuovo dossier emerge che dal 2011 al 2014 «si è registrata in Italia una stagione di disinvestimento in tema di detenzione amministrativa per stranieri […] in particolare, in questo periodo il numero di centri operativi si è dimezzato, con conseguente crollo della capacità ricettiva del sistema, passando nel giro di pochi anni dai 1901 ai 359 posti disponibili». 

 

Mentre «dal 2017 è iniziata una stagione in cui tutte le compagini susseguitesi al governo del paese hanno dichiaratamente visto nella detenzione amministrativa degli stranieri uno strumento indispensabile a una più efficace politica di rimpatrio, annunciando il proposito di voler aprire un centro in ciascuna regione italiana. Nello spazio di quattro anni – si dice – il numero di centri attivi è raddoppiato, facendo crescere del 107% il numero di posti disponibili. Altro dato rilevante è la crescita dei termini di permanenza massima, che erano stati drasticamente ridotti nel 2014». 

 

Con una serie ripetuta «d’interventi normativi che, giunge fino al 2023 con la conversione in legge del Decreto n. 20/2023 i termini vengono progressivamente elevati per diverse categorie di trattenuti». 

Inoltre «nel 2014 si era inteso intervenire sulla materia, riducendo il termine massimo a 30 giorni. La durata massima del loro trattenimento è stata tuttavia nuovamente elevata nel 2017 (45 giorni) e ancora nel 2020 e 2023, in particolare per i cittadini dei paesi con cui l’Italia ha stipulato un accordo di riammissione (rispettivamente 60 e 75 giorni)».

 

Il Rapporto del Garante relativo al 2018, sintesi delle visite in alcuni Cpr, ricordava che la «configurazione strutturale dei Cpr, riscontrata dalle delegazioni nel corso delle visite, è apparsa del tutto assimilabile a quella di un ambiente carcerario: con sbarre, talvolta alte cancellate metalliche di suddivisione tra i settori abitativi (CPR di Torino) e blindi (Cpr di Bari). L’effetto afflittivo dell’aspetto architettonico e il relativo impatto sulle persone che vi sono ospitate e su coloro che vi lavorano sono accentuati da tutta un’altra serie di fattori che attengono alla qualità della vita detentiva e alle norme di sicurezza; tra essi, in particolare, l’impossibilità per gli ospiti di muoversi liberamente tra i diversi moduli. Relativamente alla qualità della vita all’interno dei Centri, uno dei profili di maggiore criticità rilevati nel Rapporto inviato l’anno scorso riguardava l’assenza di attività – assenza che rendeva la quotidianità delle persone ristrette monotonamente uguale a se stessa, senza alcuna opportunità di occupare il tempo in maniera costruttiva o avere almeno qualche distrazione. 

 

Strettamente correlato a questo aspetto è la sostanziale impermeabilità dei CPR alla società civile organizzata, ammessa teoricamente a svolgere attività di assistenza e di promozione sociale delle persone trattenute9 ma nei fatti, per vari motivi, assente (vedi, per esempio, le considerazioni espresse in riferimento al CPR di Brindisi-Restinco nella sezione A.1. di questo Rapporto ). Anche la possibilità di pratica religiosa è fortemente limitata poiché ai Centri di fatto non accede alcun ministro di culto. Questo vale indistintamente per tutti quelli visitati».

 

Alcuni brevi estratti del Rapporto …

[…] 

«Il sistema detentivo per stranieri è amministrato in una condizione di privatizzazione de facto. Se è vero che le strutture detentive dipendono dal Ministero dell’Interno e localmente dalle Prefetture, l’erogazione dei servizi alla persona è affidata a soggetti privati. Restano competenza della pubblica amministrazione le procedure relative alla posizione giuridica degli stranieri, il mantenimento dell’ordine all’interno delle strutture, nonché la manutenzione ordinaria e straordinaria degli stabili demaniali all’interno dei quali sono ubicati». […]

La popolazione trattenuta

[…] 

«Il primo dato da cui partire per analizzare l’andamento della popolazione trattenuta nei centri di detenzione per stranieri è il dato sulle presenze al 31 dicembre di ciascun anno, dato che ricaviamo dalla relazione del Ministero dell’Interno sul sistema di accoglienza. In media, tra 2014 e 2021 le presenze a fine anno sono state di 406 persone circa. Come si evince dal grafico n. 6, l’andamento è oscillatorio, anche se a partire dal 2018 i dati mostrano un chiaro incremento delle presenze.

 

Nel quadriennio 2018-2021 in media si registrano 519 presenze a fine anno, laddove nel quadriennio precedente il medesimo dato si attestava su 293 presenze. Il dato sulle presenze è molto condizionato dalla capacità del sistema detentivo. La brusca crescita del 2018 è ad esempio sicuramente da imputarsi ad un aumento nel numero di centri operativi e di posti disponibili tra 2017 e 2018. Il trend in decrescita negli anni successivi al 2018 sembra anch’esso da potersi imputare alla forte oscillazione della capacità del sistema detentivo, dovuta alle continue chiusure per ristrutturazione che hanno sovente ridotto i posti effettivamente disponibili (cfr. capitolo 2). Il dato sugli ingressi si riferisce invece al totale di persone che hanno fatto ingresso all’interno di una struttura detentiva per stranieri nell’anno considerato. I dati raccolti nel corso della nostra ricerca mostrano una tendenza fortemente oscillatoria nel numero di ingressi, di forte decrescita fino 2016 e di parziale ripresa fino al 2021 (cfr. grafico n. 6).

Spiegare l’andamento del numero di ingressi è tuttavia più complicato, anche perché il dato è condizionato da un numero maggiore di fattori. Tra questi, quelli che hanno incidenza maggiore sono forse il numero complessivo della popolazione straniera da rimpatriare e il turnover […]». […]

Le nazionalità

I dati raccolti sulla nazionalità delle persone in transito (ingressi-uscite) dai centri di detenzione per stranieri sono parziali a causa di mancate o incomplete risposte da parte delle Questure interpellate, ci manca il dato sulla nazionalità di circa 4200 persone, vale a dire il 15,7% 23 La competenza a convalidare e/o prorogare i provvedimenti di trattenimento è dei Giudici di Pace o, nel caso in cui il trattenuto sia un richiedente asilo, del Tribunale in composizione monocratica.

In particolare, manca il 4,7% dei dati relativi alla nazionalità di coloro che escono per mancate convalida o proroga da parte dell’autorità giudiziaria e il 38,6% dei dati relativi alla nazionalità delle persone in uscita per decorrenza dei termini di trattenimento degli oltre 37000 cittadini stranieri che hanno fatto ingresso in un centro tra 2014 e 2021.

I dati mancanti si concentrano in particolare nel 2014 e nel 2015, anni per i quali ci manca la nazionalità di circa il 40% degli stranieri in ingresso. Ancora più frammentato il quadro dei dati a nostra disposizione sulla nazionalità delle persone in uscita dai centri.

Per quanto riguarda le persone rimpatriate, mancano informazioni sulla nazionalità di circa il 20% delle oltre 19 mila persone rimpatriate tra 2014 e 2021, ma il gap nei dati è distribuito equamente su tutto il periodo. Più lacunosi sono i dati che abbiamo raccolto sulle nazionalità delle persone in uscita per decorrenza dei termini o per un provvedimento di mancata convalida o proroga del trattenimento dell’autorità giudiziaria23. In questo caso siamo totalmente privi di dati per il periodo 2014-2017 e anche sul quadriennio 2018-2021 i dati raccolti presentano qualche lacuna24». […]

Conclusioni

«Tutte le compagini politiche susseguitesi al governo del paese dal 2017 in poi hanno visto nella detenzione

amministrativa degli stranieri un tassello fondamentale di una efficace politica di rimpatrio. Ciò a dispetto del fatto che non sia mai stata condotta una accurata analisi sui costi e i benefici del ricorso a misure privative della libertà personale nel quadro delle politiche migratorie e questo, occorre sottolinearlo, anche per la cronica carenza di dati affidabili sul funzionamento delle strutture detentive destinate agli stranieri. Il progetto Trattenuti nasce proprio con l’obiettivo di gettare luce sull’efficacia e i costi di uno degli strumenti più controversi e meno trasparenti delle politiche migratorie italiane.

La nostra analisi mostra come i Cpr abbiano un impatto limitato sul numero di rimpatri effettivamente eseguiti.  In particolare, i dati illustrati in questo rapporto indicano che l’investimento crescente nella detenzione amministrativa degli stranieri, testimoniato anche dal progressivo aumento dei tempi di permanenza in detenzione, non ha inciso sull’efficacia della politica di rimpatrio. Al contrario, dall’Italia si rimpatria sempre di meno e con modalità sempre più coercitive». […]

 

Qui puoi leggere dossier completo –Trattenuti