Diversità in dialogo nella nuova «Storia dei valdesi»

Arrivano in libreria i quattro volumi della iniziativa editoriale in coincidenza con l’850° anniversario del movimento

 

Nel giro di alcune settimane saranno disponibili i quattro volumi della nuova Storia dei valdesi, opera voluta dalla Società di Studi valdesi (Ssv), il cui progetto, lanciato nel 2020, ha cominciato a prendere forma nel corso del 2021. I quattro volumi, pubblicati dall’editrice Claudiana inquadrano un particolare periodo di riferimento e sono stati coordinati da altrettanti curatori: vol. 1: Come nuovi apostoli (secc. XII-XV), a cura di Francesca Tasca; vol. 2: Diventare riformati (1532-1689), a cura di Susanna Peyronel Rambaldi; vol. 3: Dal rimpatrio all’emancipazione (1690-1870), a cura di Gian Paolo Romagnani; vol. 4: evangelizzazione e presenza in Italia (1870-1990), a cura di Paolo Naso.

 

La mole dei volumi è notevole, ed è rilevante la cura editoriale: ne fa fede, con evidenza immediata, la ricchezza dell’apparato bibliografico, che consta per ogni tomo di una cinquantina di pagine circa. Altrettanto ricchi gli indici analitici.

Un’opera destinata a durare, dunque, e ad allargare l’angolo di visuale. Perché la storia valdese, come spiega il presidente della Società di Studi valdesi più sotto nel testo, riguarda un panorama più ampio. Una nuova storia, scriveva la rivista della Società, Riforma e movimenti religiosi nel presentare l’opera (n. 11/giugno 2022), che richiedeva di essere liberata «da paratie ormai troppo rigide nella narrazione, per arricchire il quadro della memoria, non solo attraverso le dottrine teologiche o lo scontro con le istituzioni, la Chiesa dominante o lo Stato, ma anche ricostruendo le strutture sociali in mutamento delle comunità, la loro cultura materiale (…); lo spazio domestico, i rituali, le lingue; il corpo nella sessualità e nei suoi divieti, nel matrimonio, nella morte».

 

Dopo l’“opuscolo” che nel febbraio di un anno fa presentava il progetto (curato da Giuseppe Platone, vicepresidente della Ssv, era firmato dai curatori e curatrici dei singoli volumi), un’anticipazione ghiotta dell’opera è stata fornita anche dal tradizionale Convegno della Società, a Torre Pellice nel settembre scorso.

 

Fornire ai lettori una narrazione sufficientemente fluida degli eventi, ma rifiutando la linea continuista (da Valdo di Lione alla Riforma e da questa all’ecumenismo novecentesco, all’insegna della resistenza alle persecuzioni) che ha dominato la storiografia valdese fino all’altro ieri: Gian Paolo Romagnani, professore di Storia moderna all’Università di Verona e presidente della Società di studi valdesi (Ssv) dal 2021, sintetizza così l’intento della Ssv nel presentare la Nuova Storia dei valdesi. «La storia dei valdesi – precisa –, nei suoi 850 anni è infatti una storia di forti discontinuità e anche di fratture dolorose, troppo poco messe in evidenza da una storiografia tutta tesa a fornire una lettura identitaria della storia della più antica minoranza cristiana d’Italia».

 

– La SSV ha sottolineato, sulla propria rivista, la necessità di «incrociare la storia di una minoranza con la storia interdisciplinare dell’Italia e dell’Europa»: come si è tradotto questo principio-base?

«Si è tradotto in uno sguardo rivolto, sì, alle vicende delle valli valdesi, ma costantemente rivolto all’esterno, all’Europa e al Mondo, senza i quali non si capisce né il contesto in cui i molti valdismi medievali dalla Provenza, all’Italia, alla Boemia, si sono intrecciati fra loro; né le ragioni dell’adesione alla Riforma europea, né la perdurante capacità dei valdesi di collegarsi, fra Sei e Ottocento, con le dinamiche che muovevano le potenze protestanti nei conflitti europei; né, infine, la capacità dei valdesi, dalla seconda metà del Novecento a oggi, di sapersi muovere meglio di altri in un mondo ormai globalizzato e sempre più complesso. Il concetto di glocal può forse aiutarci a capire questa tensione continua che nei nostri quattro volumi abbiamo affrontato mettendo sempre le vicende del petit peuple delle Valli in relazione con gli spazi europei, affidando numerosi contributi a studiosi stranieri, o comunque operanti da anni in contesti di ricerca internazionali».

 

– Giorgio Spini rimarcava come il nome “valdese” fosse stato dato a tante cose diverse, sia pure in dialogo: un’eresia pauperistica, una chiesa riformata dal sec. XVII, per arrivare al liberalismo teologico e poi al barthismo, fino all’oggi. Come conciliare tutte queste anime? 

«Paradossalmente potremmo dire che “i valdesi non esistono” se non per la storiografia. Fuor di battuta, è vero che si è spesso teso ad attenuare le diversità e a costruire narrazioni (o miti) che a lungo, tra Sei, Sette e Ottocento, hanno fatto risalire i valdesi o alla predicazione dell’apostolo Paolo di passaggio per le Alpi, oppure al dissidente vescovo Claudio di Torino, oppure ancora – ma questa era l’ipotesi meno seguita fino alla metà dell’Ottocento – a Valdo di Lione (ribattezzato senza alcun fondamento “Pietro” Valdo). La stessa incertezza sull’origine del nome “valdesi” – da alcuni storici fatto risalire a valli, da altri a Valdo, da altri ancora all’appellativo occitano vauda – testimonia quanto evidenziato da quello “spiritaccio toscano” di Giorgio Spini.

 

Il Sinodo di Chanforan del 1532 – ammesso che si possa chiamare “Sinodo” una piccola riunione di capifamiglia – è anch’esso un mito. L’adesione piena alla Riforma e a un modello di chiesa di tipo calvinista non si realizza infatti se non nei tardi anni Sessanta del 500, in un contesto di conflitti religiosi e militari di portata europea. La stessa vicenda dell’emancipazione del 1848 – e lo dico mentre ci prepariamo a celebrare il XVII Febbraio – rappresenta più una frattura con la storia valdese precedente che la tappa di un movimento di espansione. Il mondo evangelico italiano post ’48, con le sue molteplici e diverse denominazioni, è infatti altra cosa dal piccolo mondo valdese; l’uscita dei valdesi dalle loro Valli rappresenta un trauma; l’adesione al Risorgimento e la stessa adozione della lingua italiana, anziché del francese, come lingua di comunicazione non è una scelta facile e rappresenta una netta discontinuità con il passato. In quest’opera vorremmo cercare di evidenziare tutte queste diversità, ritrovando però un filo comune che consenta di collegare fra loro esperienze diverse, ma sicuramente connesse, anche se in maniera assai più complessa di quanto non sia fatto finora».

 

– Alcune pagine nel vol. 4 si riferiscono a fatti ancora recenti: c’è il rischio che “brucino ancora”, e che non siano stati adeguatamente metabolizzati?

«Sicuramente il rischio c’è, ma è anche questa la nostra sfida: ragionare su temi a noi vicini con l’occhio distaccato dello storico, ma sapendo che quella storia è ancora in atto. Il fascismo, la Resistenza, la scoperta della politica negli anni Sessanta e Settanta e la “svolta a sinistra” della Chiesa valdese, il tema dell’ecumenismo e del confronto con i fermenti in atto nel mondo cattolico, fino alle Intese, sono tutti temi che suscitano ancora discussione e dissenso. Quest’opera vorremmo che contribuisse ad animare una discussione, anche vivace, nel mondo evangelico italiano, ma una discussione fondata sui fatti, sui documenti e su interpretazioni scientificamente forti, non solo sul sentito dire. Tanto maggiore sarà la discussione, tanto maggiore sarà la soddisfazione dei tanti che a quest’opera hanno lavorato, stimolati dalla Società di studi Valdesi che si conferma una realtà viva e reattiva».

 

Domani 7 febbraio proseguiremo la presentazione dei volumi de la Nuova Storia dei valdesi con un’intervista al direttore editoriale della casa editrice Claudiana Manuel Kromer.