Dall’art. 11 della Costituzione allo sdoganamento della violenza

Un dibattito con il docente di Diritti costituzionale Francesco Pallante

 

Docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino, opinionista e autore di varie pubblicazioni, Francesco Pallante è stato invitato di recente dall’Associazione torinese “Cascina Archi” nello storico “Circolo Edmondo  De Amicis”- Società Operaia di Mutuo Soccorso fondata nel 1908 – per una conferenza sull’ art. 11 della Costituzione, punto di riferimento di tante discussioni politiche, a partire dalla guerra Russia- Ucraina ed ora  anche su quella Hamas- Israele, con relative posizioni nazionali e internazionali, e relativi aiuti militari. Presentava e coordinava il successivo dibattito Franco Peyretti.

 
La Carta costituzionale di Germania e Giappone

Pallante ha premesso che il rapporto tra pace e guerra è il tema preliminare che connota ogni gruppo umano, e che l’art.11 della nostra Costituzione ha una venatura pacifista, anche se non è ascrivibile in senso pieno all’ambito pacifista, ma piuttosto bisogna notare che si avvicina ad analoghi articoli delle Costituzioni tedesca e giapponese – gli sconfitti della II guerra mondiale – che furono definite dal filosofo del Diritto Mario Giuseppe Losano “Le tre Costituzioni pacifiste”. La Costituzione giapponese (art.9) è quella che prende maggiormente le distanze dalla guerra, esclude la produzione di armi, che lo Stato ne faccia uso e che siano costituite le Forze Armate, anche se prevede forze di autodifesa (oggi formate a tutti gli effetti). La Costituzione tedesca, a sua volta (art.26) rinuncia alla guerra e prevede il riarmo a certe condizioni, ma non esclude  che siano istituite le Forze Armate. La Costituzione italiana è la meno incisiva, prevede sì la rinuncia alla guerra “come strumento di offesa  alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversi internazionali” (art.11), ma le forze armate sono previste e disciplinate (art.52 e 117d).

Il dibattito su questo tema all’Assemblea Costituente fu molto alto, vi convergono le diverse culture politiche (maggioritari i cattolici, con un peso pari a comunisti e socialisti messi insieme, ma tutti con un afflato universalistico e internazionalista); in secondo luogo la cultura azionista, che aveva una forte visione federalista (vedi il “ Manifesto di Ventotene” di  Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi), che , attribuendo al nazionalismo la causa della guerra, si proponeva di uscire dalla sovranità nazionale, mentre oggi invece ricompaiono il sovranismo e il nazionalismo.

 

Da rinuncia a ripudia la guerra

 

I Padri Costituenti  compirono un salto culturale profondissimo, con l’idea di limitare la sovranità. Si guarda lontano, all’Italia ricostruita, che non vuole più usare gli strumenti bellici, e si discusse molto sull’uso del verbo che apre l’art.11 (prima fu proposto rinuncia, infine fu accettato, su proposta di Meuccio Ruini il molto più forte ripudia, termine che implica una scelta morale). Ugo Damiani, unico rappresentante del Movimento Unionista Italiano, disse: “Tutti i contrasti possono sempre essere risolti col ragionamento, che è l’arma più poderosa dell’umanità”.

A livello internazionale, poi, la Carta dell’ONU (sottoscritta da tutti gli Stati partecipanti alla Conferenza ed entrata in vigore il 24 ottobre 1945) vieta anche la minaccia dell’uso della forza, su ispirazione della “Pace perpetua” di Kant: i singoli Stati dovrebbero passare i loro contingenti militari all’ONU, per impedire la guerra tra Stati che hanno mantenuto le loro forze armate (questo non si farà mai). Nell’art. 11, dopo quella frase iniziale, in cui l’Italia “ ripudia la guerra, etc.”,  l’Italia “consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” e infine “promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tal scopo”. E’ interessante notare che queste tre frasi erano originariamente congiunte da una virgola, poi il Comitato di revisione linguistica la sostituì con il punto e virgola, forse più giusto grammaticalmente, ma meno incisivo concettualmente, perché indebolisce quell’idea di unitarietà dei Costituenti. E in anni recenti abbiamo assistito al tentativo di scomporre queste tre proposizioni.

La difesa della Patria

L’articolo 52 della nostra Costituzione prevede la guerra difensiva, con un linguaggio molto forte: “La difesa della patria è un sacro dovere del cittadino.” C’era stata la Resistenza, e l’idea che ci fossero forze di occupazione straniere bruciava ancora. Ancora oggi la pubblicazione dell’Anpi si intitola “Patria Indipendente”. Pallante ha notato come la difesa della patria può essere fatta in tanti modi, scelte diverse storicamente avvenute, ma nella Costituzione italiana si può dire che, nella misura minima necessaria, può essere anche armata: “Io penso che non tutte le spese militari sono da escludere, ma che devono essere ammesse solo quelle strettamente riguardanti la difesa.”

Oggi – ha notato il costituzionalista – l’articolo 11, come tutte le regole programmatiche o di principio, è svalutato. Si dice che non ci sono vincoli giuridici, che bisogna aspettare le leggi applicative. Ma la Corte Costituzionale, istituita nel 1956, nella sua prima sentenza chiarisce che tutte le disposizioni costituzionali devono orientare l’interpretazione e devono essere applicate senza aspettare la legislazione: la Costituzione sta sopra alla Legge. Questo dà forza all’art. 11.

Nello scenario internazionale, poi, la guerra fredda minacciava la pace, ma l’olocausto nucleare fece da “equilibrio del terrore”: negli anni e decenni, le molte guerre nel mondo vengono percepite come una violazione della regola che vuole la pace, e ci si adopera per ripristinarla. Come se fosse radicata l’idea, nel contesto ONU, che il vincolo pattizio debba essere seguito anche nella pratica. L’apice del radicamento di questa idea fu quando il Nicaragua sandinista adì alla Corte internazionale dell’Aja contro gli USA, che alimentavano i Contras  e avevano minato tutti i porti: la Corte nella sua sentenza (1986) dà loro ragione. L’Assemblea Generale dell’ONU proclamò (1987) la doverosità della pace nelle relazioni internazionali, con un consenso generale: l’Assemblea non votò neppure. Si era radicata una sorta di consuetudine.

 
Pacifisti alla gogna

Ma la storia travolge tutto. La fine della Guerra fredda è la grande occasione: l’Urss si scioglie, ma la Nato si ingrandisce e ingloba le ex Repubbliche sovietiche; come disse Papa Francesco “la Nato è andata ad abbaiare fin sotto le porte del Cremlino”. Gli Usa si danno come obiettivo della loro politica estera di mantenere questo predominio. A questo si affianca una dimensione ideologica: Francis Fukuyama nel suo libro “La fine della storia” afferma che la democrazia e il mercato libero hanno avuto il predominio sull’”impero del male”, e quindi bisogna esportarli in tutto il mondo. Di qui la “guerra umanitaria”, e se non basta la “guerra preventiva”.

E quindi entrano in gioco le interpretazioni riguardo all’art. 11 composto di tre parti. L’ Italia partecipa alle organizzazioni  internazionali per imporre questi valori, e quindi non si può sottrarre, perché ha rinunciato alla sovranità. Segue l’elenco della nostra partecipazione ai conflitti internazionali, che abbiamo vissuto: “Salta il diritto che limitava la possibilità di ricorrere alle armi. Salta lo ‘ius in bello’, regola che disciplina l’uso della forza, per esempio la tortura, viene violato il diritto umanitario, salta tutto il quadro giuridico costruito per contenere la violenza, si creano gli eserciti di professionisti, si aumentano le spese militari, e oggi, di fronte a una controversia internazionale si arma uno dei due contendenti, e non c’è una iniziativa di pace. Questo ha ricadute anche sulla democrazia interna; i pacifisti riguardo alla guerra Russia-Ucraini sono stati appellati ‘amici di Putin’, e ora, nel conflitto in Medio Oriente ‘amici di Hamas’ e ‘antisemiti’: aver sdoganato la violenza si rivolta contro di noi, si chiudono gli spazi della democrazia, si aumenta la repressione penale, il dissenso dei giovani è punito. Il sovranismo è diventato più forte, perché in senso ampio si è sdoganata l’idea che la violenza sia una risorsa politica. La violenza ha corroso noi stessi.”

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