“Turchi” esterni e “turchi” di casa nostra

Gli scritti di Lutero dedicati all’Islam riflettono nel bene e nel male lo spirito del tempo

 

Quando ho visto che la Claudiana aveva pubblicato dei testi di Lutero sulla “questione islamica”* sono rimasto colpito dalla assoluta attualità del tema trattato. Ormai da alcuni anni, infatti, si agita lo spauracchio, non solo in Italia, uno di “scontro di civiltà” o di una “sostituzione etnica”. Diventa dunque interessante vedere come, nel suo tempo, il Riformatore si sia posto di fronte al problema.

 

Nel corso di circa centovent’anni, dalla conquista di Costantinopoli (1453) alla battaglia di Lepanto (1571), l’impero turco conobbe una rapida espansione. In modo particolare, sotto il sultano Solimano il Magnifico, a partire dal 1520, le conquiste si diressero verso il cuore dell’Europa, con la conquista dell’Ungheria e l’assedio a Vienna (1529). Era una prospettiva inquietante: se infatti questa città fosse caduta, per il sultano si sarebbe spalancata la porta verso la Germania e l’Europa centrale. Si può dunque a buon diritto parlare di una “questione turca”, dal momento che gli eserciti ottomani facevano veramente paura per la loro efficienza, la loro forza e crudeltà – per terra con i giannizzeri e per mare con i pirati saraceni. 

 

In questo contesto, fu richiesto anche a Lutero di prendere posizione, ed egli lo fece a più riprese. In modo particolare si espresse con i cinque testi che il curatore Paolo Ricca ci presenta, con la solita ampiezza e chiarezza, in questo libro, col testo originale a fronte e un nutrito apparato di note. Si tratta di due testi maggiori, ambedue del 1529: «La guerra contro i Turchi» e «Predica da campo contro i Turchi» – e di tre testi minori: «Esortazione alla preghiera contro i Turchi» (1541), Prefazione al “Libretto sulla religione e i costumi dei Turchi” (1530) ed infine la Prefazione al Corano (1543), di cui il Riformatore aveva curato la traduzione e la stampa in latino.

 

Per cercare degli elementi di continuità fra i vari scritti, che ormai datano quasi cinquecento anni, ci facciamo guidare dalla bella e ampia introduzione di Paolo Ricca, da cui ne traiamo alcuni. Innanzitutto, il Riformatore vede nei successi dell’Impero Ottomano la «verga del Signore», utilizzata per punire l’infedeltà del mondo cristiano. Il Riformatore, pertanto, si domanda se gli islamici siano meglio dei cristiani e riconosce loro una disciplina e una moralità superiori. Ma ci sono due elementi nella loro dottrina che più di altri li rendono nemici della fede: il fatto che non riconoscono il Cristo come Figlio di Dio e il fatto che ammettono la poligamia. Va detto che Lutero non fa sconti a nessuno quando enumera i nemici della fede perché, se vi è un “Turco” esterno, afferma, esistono anche i “Turchi” di casa nostra: in primo luogo il papato, seguito dai «müntzeriani, zwingliani, anabattisti» (!). Nella lettura della storia, poi, Lutero era fortemente influenzato dal fatto che riteneva che il Regno di Dio e il giorno del giudizio fossero vicini. Per questo si appoggiava alla profezia apocalittica del libro biblico di Daniele, in particolare dalle visioni del capitolo 7. Egli infatti identificava l’ultimo dei mostri della visione contenuta in quel capitolo proprio con l’impero ottomano. Ma, ci avverte il profeta Daniele, questa bestia è destinata a essere distrutta. 

 

Questa prospettiva ci porta all’aspetto più inquietante delle parole di Lutero. Egli infatti si domanda se si debba muovere una “guerra santa” contro i Turchi e afferma che questo non debba essere fatto, perché non si difende l’Evangelo con la spada, ma con la Parola. “Guerra santa” no – ma guerra si. Lutero ritiene infatti che sia compito dell’imperatore Carlo V, nella sua qualità di magistrato terreno, di difendere i suoi sudditi contro le minacce esterne. Ed è compito dei sudditi cristiani rispondere positivamente alla chiamata del magistrato, conformemente a quanto insegna l’apostolo Paolo in Romani 13. E chi perderà la vita in questa battaglia sarà sicuramente beato. Non perché ha partecipato a una crociata, ma perché ha fatto il suo dovere di cittadino. Come si vede, Lutero qui è assolutamente coerente con la sua dottrina dei due regni, che vede una chiara divisione tra la Chiesa e lo Stato. Sconcerta soltanto che Lutero non approfondisca il lato demoniaco della guerra: ma, che io sappia, non lo ha mai fatto. In questo era molto pragmatico.

 

Eppure, solo qualche anno prima, Erasmo da Rotterdam (il maestro/contraltare di Lutero) aveva scritto un bel libretto dal titolo La guerra piace a chi non la conosce (1515) in cui affermava: «Io non condivido mai la guerra: neppure quella contro i Turchi… “Ma perché – sento dire – non dovremmo poter sgozzare quelli che vengono a sgozzarci?”. A costoro rispondo: “Vi sembra davvero così inaccettabile che altri siano più crudeli di noi?”». Un’altra opzione era dunque possibile…

I testi sono molto ricchi e l’attualità e inattualità di Lutero vengono presentate e discusse da Paolo Ricca nella bella ed esaustiva introduzione che aiuta il lettore moderno, offrendo numerosi spunti di riflessione.

* P. Ricca (a c. di), Lutero e l’Islam. Cinque scritti sulla «questione turca» (1529-1543). Torino, Claudiana, 2023, pp. 344, euro 38.

 

Immagine di Sailko: Sebastiano Ricci, allegoria della Battaglia di Lepanto, 1695 circa