Bruno Segre: 105 anni d’impegno civile

È morto l’avvocato, giornalista e partigiano nato a Torino nel 1918

 

«Morire proprio il Giorno della Memoria è stato l’ultimo geniale colpo di teatro» in molti avranno pensato il giorno della scomparsa di Bruno Segre, un uomo che ha vissuto più di un secolo di storia italiana. Segre, infatti, si è spento sabato scorso, 27 gennaio. Avvocato e giornalista, nato nel 1918 a Torino, è stato certamente una tra le figure più limpide e coraggiose dell’antifascismo italiano. 

 

Combattente partigiano nelle valli del Cuneese – dopo aver rischiato la fucilazione nel carcere di via Asti e la deportazione per mano dei repubblichini, dal dopoguerra in poi condusse tante battaglie civili, come quella per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza (nel 1949 difese il primo obiettore in Italia) o quella a favore del divorzio. Molto vicino alle iniziative delle chiese evangeliche e protestanti sempre presente alla ricorrenza del XX settembre (Breccia di Porta Pia) per rivendicare il valore della laicità nello spazio pubblico e i diritti civili e umani di tutte e tutti. 

Com’egli amava sempre ricordare, con spiccato umorismo che contraddistinse tutta la sua vita, «scampò alla morte più volte»: un portasigarette di metallo impedì che un proiettile lo trafiggesse in tempo di guerra, «sono morto almeno cinque volte – ricordò in un’intervista rilasciata a Riforma – Eco delle valli valdesi -. Dapprima perché condannato alla fucilazione,  poi la volta che un proiettile mi trafisse, altre due volte durante la resistenza, infine, l’anno scorso, quando i giornali mi diedero per defunto, per un’omonimia». Anche in quell’occasione (malgrado il lutto e il rispetto per la persona scomparsa, un altro grande intellettuale e uomo di dialogo e di pace), si fece quattro risate, senza perdere la perenne contagiosa voglia di vivere e di lottare.

 

Sul mensile L’Incontro (periodico indipendente) da lui fondato nel 1949 e diretto per oltre settant’anni (oggi anche online) in uno dei suoi editoriali ricordava che «la Resistenza è stata la più grande guerra popolare italiana, perché formata da volontari e sostenuta dal consenso della gente. Antifascismo – disse – significa garanzia di libertà, di giustizia sociale e tolleranza verso il diverso, di difesa contro ogni totalitarismo». 

Una libertà che iniziava a partire proprio dalla «libertà d’espressione, di comunicazione, d’informazione, di pensiero. La libertà – diceva – è il bene supremo dell’uomo, per questo dev’essere un bene collettivo. È importante contrastare gli analfabeti della democrazia, i nostalgici della dittatura, di ogni dittatura, comprese le dittature religiose e dogmatiche». 

 

Incalzato da Riforma  sosteneva, «Ci sono troppe “Italie”. Una vera e unità ancora non esiste, stante la grande differenza visibile tra il Nord e il Sud. Oggi avremmo bisogno di costruire un’Italia consapevole, responsabile. Dopo averla unita quest’Italia, dovremmo fortificarla attraverso lo sviluppo della cultura, attraverso l’approfondimento delle sue ragioni storiche, nella dignità delle sue radici. Questa è l’Italia che sogno – disse -, un’Italia emancipata ed emancipatrice». 

 

In un suo articolo pubblicato su Riforma scrisse, «posso ben dire con Brecht che “chi combatte può perdere, ma chi non combatte ha già perduto” nella battaglia a favore della eterna libertà e alla necessaria dignità».

 

 

NELLA FOTO DI PIETRO ROMEO: TORINO, 29 MARZO 2018: BRUNO SEGRE INTERVIENE ALLA COMMEMORAZIONE DI GOFFREDO VARAGLIA, DAVANTI ALLA TARGA DEDICATA AL MARTIRE. AL SUO FIANCO L’allora PRESIDENTE DEL CONCISTORO DELLA CHIESA VALDESE DI TORINO PATRIZIA MATHIEU