Le ossa della Terra – Primo Levi e la montagna
Apre al pubblico in occasione del Giorno della Memoria una mostra al Museo della montagna di Torino per svelare il legame tra lo scrittore e le alte terre
«In montagna è diverso, le rocce, che sono le ossa della terra, si vedono scoperte, suonano sotto le scarpe ferrate, ed è facile distinguere le diverse qualità: le pianure non fanno per noi». Primo Levi (Piombo) in Il sistema periodico del 1975
Dal domani (26 gennaio) sarà visitabile a Torino presso il Museo delle Montagna (Piazzale Monte dei Cappuccini 7) a un percorso espositivo (nato in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino) per scoprire, «attraverso le parole, le fotografie, i manoscritti e molti oggetti inediti», l’amore di Primo Levi per la montagna.
Per celebrare il Giorno della Memoria, apre dunque al pubblico la mostra Le ossa della Terra – Primo Levi e la montagna, ideata e prodotta dal Museo Nazionale della Montagna di Torino.
«Il percorso espositivo curato da Guido Vaglio e Roberta Mori in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino – si legge nel comunicato stampa – invita a scoprire il legame poco conosciuto tra Primo Levi e la montagna, nato negli anni dell’adolescenza e tragicamente legato al destino dello scrittore.
Fu, infatti, in Valle d’Aosta che avvenne il suo arresto nel dicembre 1943, che lo condurrà alla deportazione nel campo di Auschwitz. All’indomani dell’8 settembre 1943, l’espressione “andare in montagna” era diventata sinonimo di una precisa scelta di campo, quella di aderire alla lotta partigiana».
Dopo la guerra, sarà ancora la montagna a favorire e consolidare l’amicizia di Levi con altri due protagonisti del Novecento: Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli.
A testimonianza di quest’amicizia è stata posizionata all’interno della mostra una pietra con l’incisione della poesia A Mario e a Nuto (proveniente dalla Fondazione Nuto Revelli di Cuneo), testo che «Levi fece incidere su una pietra di fiume, per suggellare una sorta di patto di testimonianza», ricorda Marco Revelli nel catalogo della mostra – proprio come se «la montagna rappresentasse l’occasione di un nuovo inizio».
La mostra presenta fotografie storiche, oggetti, documenti, volumi, manoscritti ed estratti video provenienti da archivi pubblici e privati, oltre che dai familiari dello scrittore, dal Centro Primo Levi e dal Museo. Provenienti dalla famiglia di Levi anche un paio di suoi sci, che testimoniano la breve esperienza partigiana. Sci che furono lasciati dallo scrittore ad Amay, in Valle d’Aosta, dove fu arrestato il 13 dicembre 1944 insieme ad altri partigiani e componenti della «piccola banda di Giustizia e Libertà.
Sci, che furono poi utilizzati dal partigiano Ives Francisco per fuggire in Svizzera»».
I documenti «Le cronache di Milano e I Libri segreti provenienti dall’archivio di Massimo Gentili-Tedeschi, forniscono invece uno spaccato inedito del 1942, periodo in cui Levi trovò un impiego alla fabbrica Wander di Crescenzago e si trasferì a Milano, ospite della cugina Ada Della Torre. Qui trascorse, con altri sei giovani torinesi, un breve ma intenso periodo di vita in comune, fatto di incontri, di discussioni politiche e culturali, di fervore creativo, di serate conviviali e gite sulle montagne lombarde. Disegni, caricature, filastrocche e vignette raccontano la vita di quel periodo con leggerezza e ironia, pur nella consapevolezza della situazione in cui si viveva, il cui esito tragico non avrebbe tardato a manifestarsi».
Ad accompagnare il visitatore nel percorso espositivo, ricordano ancora i promotori, «le citazioni di Primo Levi: natura, materia, letteratura, trasgressione, riscatto, amicizia, scelta, liberazione, sono queste le otto parole-chiave attorno a cui si articola la mostra e che rappresentano l’essenza dell’amore dello scrittore per la montagna. Per Levi le escursioni in montagna significarono molte cose insieme: l’incontro con la natura e con la materia, la nascita di amicizie profonde, la sfida con se stesso, l’orgogliosa rivendicazione di libertà, l’allenamento alla fatica e alle privazioni».
Durante l’esposizione saranno promossi laboratori per studenti delle scuole secondarie di I e II grado, con l’obiettivo di sensibilizzare e sviluppare sentimenti di empatia, consolidare legami. Il risultato di quest’impegno, si concretizzerà in un progetto grafico comune e in un’attività di scrittura basata sulla rielaborazione dei testi e delle citazioni di Primo Levi.
«Abbiamo coltivato a lungo l’idea di costruire un progetto corale dedicato alla figura di Primo Levi secondo un punto di vista, quello del suo intenso rapporto con la montagna, che potesse aprire a nuove significative riflessioni sulla sua straordinaria figura, su quel tempo e sul nostro», rilevano Mario Montalcini e Daniela Berta, rispettivamente presidente e direttore del Museo Nazionale della Montagna.
«Grazie alla famiglia Levi, al Centro Studi a lui dedicato e a tutti gli archivi italiani che hanno accolto la collaborazione è stato possibile realizzare questa mostra» che era «doveroso pensare per Torino, la sua città, e che è nostro obiettivo presentare in seguito in altre sedi».
«“Le mie montagne”, le nostre montagne. Primo Levi ci aiuta a leggere – e lo cogliamo pienamente dalla mostra – la natura intorno a noi. Senza enfasi, senza retorica ma con la passione di chi ha praticato la montagna sul serio, con l’appagamento dello scopritore curioso di significati innumerevoli: intorno alla chimica, alla letteratura – i suoi due mestieri più amati -, alla politica – “andare in montagna” per combattere il fascismo -, all’amicizia, alla propria condizione esistenziale. E, appunto, anche alla nostra», ha chiosato Fabio Levi, presidente del Centro Studi Primo Levi.
Un ricco catalogo accoglie contributi di Enrico Camanni, Massimo Gentili-Tedeschi, Giuseppe Mendicino, Alessandro Pastore e Marco Revelli. In Appendice è riproposta l’intervista che il giornalista Alberto Papuzzi fece a Primo Levi nel 1984 per la Rivista della Montagna e sono pubblicati, per concessione di Einaudi, i racconti Ammutinamento e La scure che gli amici Primo Levi e Mario Rigoni Stern si dedicarono vicendevolmente, commentati da Domenico Scarpa.