Dalla cura all’uscita dalla violenza di genere
La presidente dell’Ospedale evangelico internazionale di Genova racconta l’esperienza di “Finestra rosa”, un servizio dedicato al supporto psicologico alle donne vittime di violenza
C’è un progetto, a Genova, presso l’Ospedale evangelico internazionale, che è rivolto alle donne vittime di violenza. Si chiama “Finestra rosa” ed è, come tutte le altre prestazioni sanitarie assicurate dal nosocomio del capoluogo ligure, che è inserito nel sistema sanitario regionale, gratuito per tutte. Ne abbiamo parlato con Barbara Oliveri Caviglia, presidente dell’Ospedale evangelico genovese.
“Finestra rosa”: di cosa si tratta?
Grazie al finanziamento dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese questo è uno dei progetti contro la discriminazione, la violenza sulle donne, il femminicidio. “Finestra Rosa”, nato nel 2013 per contrastare la violenza alle donne, ai soggetti fragili come anche al maltrattamento interpersonale all’interno anche delle relazioni affettive nel contesto delle famiglie o delle relazioni di amicizia creduta tale. Si caratterizza ed opera con l’intento di offrire possibilità di supporto clinico-sanitario, in caso di necessità, ma inteso ed allargato anche all’attività di ascolto psicologico. Riteniamo infatti che il diritto alla salute sia strettamente connesso anche all’emancipazione, all’uscita dalla violenza. E’ un servizio gratuito, inserito nel sistema sanitario, al quale possono accedere le donne che arrivano in ospedale, per lo più attraverso il pronto soccorso ma anche dopo interventi o degenze in altri reparti. Assicuriamo dieci colloqui per ogni persona. Abbiamo assistito oltre 200 donne in più di 10 anni.
Non sono poche?
Non sono poche rispetto alla nostra realtà, che è una realtà relativamente piccola. Ma certamente si evidenzia un problema: solo una minoranza delle donne denuncia. Questa è purtroppo la verità: e per questo occorre implementare gli strumenti e gli spazi per consentire alle donne di denunciare e soprattutto di essere accompagnate e sostenute, dopo la denuncia. Ricordiamo che le donne che accedono a questo servizio, dopo le cure che prestiamo loro dal punto di vista sanitario, sono quelle che potenzialmente denunciano.
Quali sono i bisogni psicologici di una donna vittima di violenza?
La donna che arriva ha anzi tutto bisogno di essere creduta. Per questo è importantissimo avere personale formato in modo specifico, su questo aspetto noi lavoriamo molto. Perchè chi interagisce con la donna deve sapere che parole usare per non farla sentire giudicata, per evitare la vittimizzazione secondaria.
Non a caso i locali dove si svolgono le attività di “Finestra rosa” sono in un’area defilata della nostra struttura, per garantire la privacy delle donne. Abbiamo creato uno spazio il più possibile accogliente, colorato, per mettere le donne a loro agio.
Ci può raccontare qualche storia di donne che avete incontrato e aiutato in questi anni?
Mi vengono alla mente due casi diametralmente opposti. Una ragazza molto giovane, da poco maggiorenne, che è riuscita a salvare se stessa e la sorella dal compagno della madre, che abusava di loro. Ora ha ricominciato la sua vita, ha un fidanzato, vive una relazione felice, convive con lui e la sorella. E ricordo una donna anziana, più di 70 anni, malmenata dalla figlia, che ha invece lasciato il percorso, non ce l’ha fatta. Perchè spesso verso le persone anziane, vulnerabili, viene agita una violenza sommersa, di cui si dice e si sa poco.
Quali progetti avete per il futuro?
Il nostro lavoro è in rete con i centri antiviolenza, ai quali, una volta accolta la persona e iniziato il percorso di ascolto, indirizziamo la donna. Quindi l’obiettivo è quello di proseguire e rafforzare il rapporto con la popolazione, con iniziative sul territorio, fatte per incontrare la cittadinanza, prevenire la violenza, sensibilizzando soprattutto le nuove generazioni. Il 29 novembre, ad esempio, avremo una giornata di incontro della rete metropolitana su questi temi. Ci impegneremo per meritarci sempre di più un ruolo che stiamo assumendo, che è di collegamento tra le varie realtà. Infine, vorremmo ampliare tutto il lavoro con le donne straniere e continuare a fare incontri con le università, coinvolgendo sempre di più il mondo della scuola e dell’istruzione. Come ha dimostrato anche la vicenda di Giulia Cecchettin, purtroppo, la violenza non ha età, è un fenomeno strutturale che coinvolge tutte le classi sociali e uomini di tutte le generazioni, anche i giovanissimi.