Donne e ecumenismo, la via aperta da Fernanda Jourdan Comba

Una lunga vita spesa per l’impegno femminile nelle chiese e per il dialogo

È stata per anni la portavoce di un movimento che nelle chiese protestanti si stava via via affermando: la partecipazione delle donne non solo alla vita delle chiese evangeliche in Italia ma anche all’interno degli organismi ecumenici sovranazionali, in cui la Chiesa valdese ha parte. Fernanda Jourdan in Comba, scomparsa sabato 28 ottobre a Torre Pellice (To) dove era nata, si stava avvicinando a compiere il 96° anno di età, dopo avere festeggiato anche, negli anni scorsi, i 70 anni di matrimonio con il pastore Aldo Comba (nel 2018) e poi i 75 nel marzo di quest’anno.

Il matrimonio, avvenuto quando aveva vent’anni, coincise con l’invio del marito a fare il pastore in Uruguay, prima tappa di una vita di credente che ha visto Fernanda percorrere con lui i continenti: «Lì ho cominciato anche a lavorare con le donne – racconterà poi nell’intervista raccolta da Piera Egidi Bouchard (Incontri, Claudiana, 1998) –, sia valdesi sia di altre confessioni, come le battiste». La novità dello sguardo è stata, di lì in poi, strettamente legata all’apertura intellettuale e alla volontà di incontro di questa testimone inesauribile.

Fra gli impegni più rilevanti, a parte il lavoro parallelo svolto in Amnesty International (il suocero Gustavo Comba era stato uno dei fondatori del movimento per quanto riguarda l’Italia), ci sarà l’elezione e il successivo impegno nel Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle Chiese, tra il 1975 e il 1983. 

Nella stessa intervista Fernanda ricordava come nella Conferenza delle Chiese europee, che include il mondo ortodosso del Vecchio Continente, «le donne avevano pochissimi spazio». Nascerà però, proprio per questo motivo, il “Forum ecumenico delle donne cristiane”, che vedeva anche la partecipazione delle donne cattoliche. In questa sede la troviamo come membro dell’esecutivo. 

Sarà poi a Ginevra con Aldo, e non cesserà, fino all’emeritazione di quest’ultimo, di esercitare la rappresentanza delle nostre chiese in incontri internazionali. 

In un’intervista che, curata da Ines Pontet, è andata a far parte di una pubblicazione voluta al Comune di Torre Pellice, ricordava come particolarmente significativi quelli a Cuba, in India, Indonesia, Stati Uniti, Libano. Il suo atteggiamento di militanza la portò più volte, a fianco all’esercizio di incarichi di responsabilità, a fare da interprete per le traduzioni negli incontri internazionali, in particolare la Conferenza dei vescovi anglicani (Conferenza di Lambeth, 1988). Poche persone ci hanno confermato come lei nella convinzione che la vita delle nostre chiese si colloca in un progetto più ampio, che attraversa le genti e i Paesi, che supera le frontiere alla ricerca dei linguaggi più innovativi e creativi ai fini della testimonianza dell’Evangelo.