L’ordine che viene dalla libertà

67 anni fa l’avvio della rivoluzione ungherese stroncata nel sangue da Mosca. La visita della Chiesa riformata alla diaspora australiana

La rivoluzione ungherese prese avvio il 23 ottobre del 1956 come ribellione alla sempre più opprimente pressione da parte dell’Unione Sovietica nei confronti delle nazioni considerate da Mosca satellite del proprio impero. Venne pesantemente repressa in un paio di settimane dai carri armati sovietici giunti fino a Budapest. Da quel momento il controllo dell’Urss sull’Ungheria si fece assai più pesante, fino al 1989, l’anno della caduta del Muro di Berlino.

Furono molte migliaia le persone che lasciarono il Paese in quei giorni di ottobre e novembre di 67 anni fa, una diaspora i cui protagonisti hanno mantenuto forti radici con la madre patria. La presidente ungherese Katalin Novak, prima donna alla guida della nazione magiara, e il vescovo Zoltan Balog, presidente della Chiesa riformata in Ungheria, e già ministro di uno dei governi di Viktor Orban, si sono recati in viaggio in Australia dove si è installata una folta comunità ungherese.

«La libertà è un dono, tutti siamo responsabili della realizzazione dell’ordine che da essa emerge – ha sottolineato Balog alla commemorazione tenutasi ieri 23 ottobre nella Chiesa riformata ungherese a Melbourne. Il pastore presidente del Sinodo della Chiesa riformata ungherese ha sottolineato anche il ruolo dei leader delle comunità durante la celebrazione, alla quale hanno partecipato anche i profughi del 1956 e i loro discendenti. 

Balog ha letto il tema di fondo del suo sermone: «9 Una notte il Signore disse in visione a Paolo: “Non temere, ma continua a parlare e non tacere; 10 perché io sono con te, e nessuno ti metterа le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città”». (Atti 18:9-10).

«È arrivata la nostra anima?» ha chiesto il vescovo all’inizio della sua predicazione. «Non sempre si è con la propria anima. Questo è particolarmente vero oggi, nell’era dei dispositivi digitali, quando siamo in più posti contemporaneamente. È quindi molto importante che la nostra anima arrivi, perché solo con l’anima possiamo ascoltare la parola di Dio». 

«È con questo nutrimento spirituale che l’apostolo Paolo si è recato a Corinto. Non era un uomo spaventato, perché aveva una missione, andava con un messaggio. Corinto era un crogiolo di persone di tutte le nazionalità, decine di etnie, culture diverse, estrazioni sociali diverse. Prima dell’arrivo dell’apostolo Paolo, ognuno era riunito nella propria comunità, gli ebrei con gli ebrei nella sinagoga, i greci con i greci nelle loro chiese, i fenici con i fenici, i siriani con i siriani, e i cittadini romani, che erano l’élite, guardavano dall’alto in basso gli immigrati. Ognuno conservava la propria cultura, la propria appartenenza, ma con l’arrivo di Paolo accadde il miracolo. Arrivò il messaggero di Gesù Cristo e tutte le persone diverse – ebrei, mezzi ebrei, scaricatori di porto, ricchi mercanti, cittadini romani, donne di strada, filosofi ellenisti – si riunirono e sentirono di essere arrivati, di aver trovato una casa, non solo in quella città, ma nella loro vita. Esiste un miracolo più grande di quando due persone si accordano sull’essenza della loro vita e dicono che d’ora in poi ci apparteniamo? A Corinto, centinaia di persone hanno deciso di diventare una sola chiesa, una sola comunità. L’esperienza della rivoluzione del 1956 è stata in grado di unire il popolo ungherese, di dargli un senso di direzione. Ma a Corinto il punto in comune non era un evento, bensì Gesù Cristo. La sua influenza dura da duemila anni e, ovunque andiamo nel mondo, il nome di Gesù Cristo è in grado di creare comunità. Essere ungheresi è sufficiente per molte cose, per le lotte per la libertà, per i cambiamenti di regime, per una cultura meravigliosa, per la musica, per la letteratura. Ma non basta per raggiungere la base della nostra vita, il Dio che ci crea e ci salva».

Alla festosa commemorazione ha preso parte anche Zsolt Csenger-Zalán, ambasciatore dell’Ungheria in Australia. Al termine della cerimonia è stata deposta una corona di fiori sulla targa posta all’ingresso della chiesa.

Fotó di Mező István