Giovanni Franzoni. Cammino di libertà e di testimonianza

Il 30 settembre a Roma si terrà il convegno “La Terra è di Dio. Cinquant’anni dalla lettera pastorale di Frangino

Il 30 settembre a Roma si terrà il convegno «La Terra è di Dio. Cinquant’anni dalla lettera pastorale di Giovanni Franzoni. Cinquant’anni di un cammino di libertà e di testimonianza della Comunità Cristiana di Base di san Paolo».

L’iniziativa gode del patrocinio dell’Università Roma Tre, della Fondazione Lelio e Lisli Basso, della Rivista e Centro studi “Confronti”, del Municipio Roma VIII.

L’appuntamento è alle ore 9.30, presso l’Università Roma Tre – Dipartimento di Giurisprudenza – Aula 8, in via Ostiense 159 a Roma.

La biografia che ripercorre la vita e l’opera di Giovanni Franzoni è a cura di Luigi Sandri ed è disponibile sul sito della rivista Confronti.

Di seguito ne riportiamo alcuni stralci…

«Giovanni (Mario) Franzoni è nato nel 1928 in Bulgaria – ove i genitori si trovavano per lavoro – e crebbe a Firenze; dopo il liceo entrò, a Roma, al collegio ecclesiastico Capranica e quindi tra i benedettini (assumendo il nome religioso di Giovanni Battista, sempre poi da lui usato), studiando al Pontificio Ateneo sant’Anselmo. Nel marzo 1964 fu eletto dai monaci abate di San Paolo fuori le Mura e, perciò, divenne membro della Cei e “padre” conciliare alle ultime due sessioni del Vaticano II. Egli – l’ha ripetuto molte volte all’amico vaticanista Luigi Sandri – entrò in Concilio come “conservatore”, ma ben presto “si convertì”, e appoggiò i “progressisti” su tutti i temi-chiave (collegialità episcopale, la Chiesa come popolo di Dio che cammina nella storia, la partecipazione dei battezzati alla vita concreta della comunità cristiana, libertà religiosa, ripudio dell’antisemitismo, apertura ecumenica, dialogo con i seguaci di altre religioni e anche con i marxisti, insonne impegno per i diritti umani e per la pace nella giustizia). Tuttavia, egli non prese mai la parola in Concilio.

Alla sua conclusione – ricorda Sandri – si diede un gran da fare, nel piccolissimo territorio del quale era “ordinario” e con autorità magisteriale, per attuare, con la sua gente, quanto la Grande Assemblea aveva insegnato e prospettato. Il desiderio di inverare la “partecipazione del popolo di Dio” lo spinse a invitare i parrocchiani (San Paolo, allora, era anche parrocchia) a incontrarsi con lui, il sabato sera, nella “sala rossa” – così chiamata per via del broccato rosso che adornava le pareti – per riflettere insieme sulle lettura bibliche dell’indomani. Fu in questo scambio che, sollecitato dalla gente – operai, operaie, insegnanti, padri e madri di famiglia, teologi, universitari, impiegati/e – la sua esegesi delle letture sacre, esposta in basilica la domenica all’omelia della messa di mezzogiorno, si aprì sempre più a confrontarsi con l’oggi, spesso doloroso, di Roma, dell’Italia e del mondo dilaniato da guerre.

Giovanni aveva fiducia in ciò che veniva “dal basso”, e istintivamente vedeva con favore – seppure non acriticamente – i movimenti che, in vari paesi del mondo, tentavano di dare protagonismo e dignità a masse da secoli tenute ai margini. Anche in basilica, fu questo continuo rapportarsi con la gente – “La Chiesa è il popolo di Dio”, aveva affermato il Concilio – che lo spinse a crescenti prese di posizione pubbliche: la solidarietà agli operai licenziati da una fabbrica situata nella zona Ostiense; la nonviolenza come via per superare i conflitti tra i popoli; i digiuni per la pace in Vietnam ed in Bangladesh (quando scoppiò la guerra perché il Pakistan orientale voleva essere indipendente); l’invito (1970) al presidente della Repubblica Saragat di caratterizzare il 2 giugno, festa della Repubblica, non più con parate militari ma con rappresentanze della società civile e del mondo del lavoro.

La pace è sempre stata un suo grande assillo. Perciò, anche a livello minimo della parrocchia, favorì, per quanto poté, ogni iniziativa che, a suo parere, avvicinasse la pace nella giustizia là ove la “tranquillità dell’ordine” era violata. E, per fare qualche esempio, fu ben contento quando (anni 1971-72) due universitari che frequentavano la basilica andarono in Irlanda del Nord per un campo di lavoro organizzato dalla cattedrale inglese di Coventry. O una ragazza della parrocchia partì infermiera volontaria in una zona disastrata dell’Africa.

In questa scia – aiutato da persone che lo seguivano più da vicino, e non solo la domenica, e che erano sensibili a certe tematiche sociali, e alle nuove idee di Franco Basaglia – Giovanni decise di fare le pratiche necessarie per far uscire dal Santa Maria della Pietà (il manicomio di Roma) alcuni giovani che, senza famiglia, di fatto erano trattati come handicappati psichici, assumendosi la responsabilità del loro mantenimento e del loro – se possibile – inserimento sociale. 

Non possiamo dimenticare il ruolo decisivo avuto da Giovanni per la nascita, nel marzo 1972, di Com – giornale slegato dalle gerarchie ecclesiastiche, ma invece legatissimo alle esperienze delle Comunità cristiane di base e molto aperto ai “cattolici critici” – che, nell’autunno del ’74, si fonderà con un settimanale evangelico, dando vita a Com-Nuovi Tempi, trasformatosi poi, nel 1989, nel mensile Confronti. Franzoni fece sempre parte della redazione, dando un corposo contributo all’impostazione della rivista, per la quale scrisse numerosissimi articoli. Da dieci anni, poi, aveva una sua rubrica fissa, Note dal margine; il numero di luglio-agosto di quest’anno, chiuso pochi giorni prima della sua morte, riporta il suo intervento; e un altro suo scritto apparirà nel numero monografico di settembre (dedicato al fine-vita!), e da lui inviatoci l’11 luglio.

Naturalmente, incontrando la gente del quartiere ostiense, una zona popolare ove molti cattolici votavano a sinistra, Giovanni non poté evitare di affrontare un problema pastorale, oggi superato, ma allora incombente: il “dogma” dell’unità politica dei cattolici. In poche parole: secondo le gerarchie ecclesiastiche i cattolici coerenti dovevano votare per la Democrazia cristiana; chi, tra loro, votava Msi – “cattolicissimo”! – da esse era comunque ben tollerato; spiacenti erano quanti sceglievano i partiti “laici” (repubblicani e liberali, considerati “anticlericali”); intollerabili quanti votavano Psi e, peggio, Pci. E tra la gente che frequentava la “sala rossa”, vi erano molti socialisti e comunisti. Giovanni non ebbe nessuna difficoltà ad avere buoni rapporti con tutti. 

Oltretevere, però, erano irritati che egli ammettesse come legittimo, per un cattolico, votare anche a sinistra.

Per Franzoni, invece, il principio del rispetto del pluralismo politico doveva essere assolutamente garantito. Non vi erano – sosteneva – cattolici di serie A perché votavano un determinato partito e di serie B perché ne votavano un altro. Tuttavia, in quel preciso contesto storico, impegnarsi, come faceva lui, in alcuni temi sociali, o anche ecclesiali ma con inevitabili riflessi pubblici, significava spesso porsi in contrasto con la Dc al potere e, indirettamente, con le gerarchie ecclesiastiche filo-democristiane. Dunque, l’abate da più parti fu accusato di “fare politica”. Quei prelati che, invece, sostenevano pubblicamente, o di fatto, la Dc… non facevano politica, ma… solo “azione pastorale”!

Come abate di San Paolo, Giovanni accolse in basilica – con tutti gli onori – il patriarca di Costantinopoli, Athenagoras, e il papa copto Shenouda III, ambedue venuti a Roma per la prima volta (nel 1967 e nel ’73) a incontrare il romano pontefice, allora papa Montini; e favorì, accogliendoli nel monastero, i “Dialoghi paolini”, incontri di studiosi internazionali, cattolici ed evangelici, per approfondire la conoscenza dell’apostolo delle genti. […]

In vista del referendum sulla legge del divorzio, previsto per il 12 e 13 maggio 1974, agli inizi di quell’anno partì in Italia un’animata campagna politica (Dc e Msi erano per il “Sì” all’abolizione della legge; tutti gli altri partiti, per il “No”); da parte sua, in febbraio il Consiglio permanente della Cei, con una “Notificazione”, invitò fortemente i cattolici – come impegno morale – a votare per l’abrogazione di quella legge. Nell’aprile successivo Franzoni contrastò apertamente l’indicazione dei vescovi e, in un libretto intitolato Il mio regno non è di questo mondo, sostenne che anche i cattolici avevano il pieno diritto di votare in coscienza, come ritenevano meglio, e dunque anche per il No. In discussione – rilevò – non era il sacramento del matrimonio, ma una legge di uno Stato laico (e la difesa della laicità dello Stato fu un altro costante impegno di Giovanni). Ma, inesorabili, alla fine di quel mese le autorità ecclesiastiche sospesero Franzoni “a divinis”, cioè non poteva più, lecitamente, celebrare i sacramenti. […]

Dall’agosto 1976 iniziò dunque la… seconda parte della vita di Giovanni, durata fino alla morte, e sempre mescolata – per la sua vicenda pubblica – con l’esperienza della Cdb san Paolo.

Già negli anni ’74-’75 si era molto discusso, in comunità, sul problema dei ministeri: che diceva, in proposito, il Nuovo Testamento? Le conclusioni alle quali, anche con l’assistenza di illustri esegeti (come il benedettino Jacques Dupont o il biblista Giuseppe Barbaglio), arrivammo, erano ben note al mondo teologico, ma non alla gente semplice: Gesù non ha mai previsto “sacerdoti” (=mediatori necessari tra Dio e l’uomo) per la sua Ekklesìa, ma solo dei multiformi ministeri (=servizi) per il suo bene-essere, aperti sia a uomini che donne, a prescindere dal loro stato di vita.

Dopo prolungate e accalorate discussioni, desiderosi di “riappropriarci dei ministeri”, pensammo di mantenere, grosso modo, lo schema della messa consueta, ma con varianti decisive: non ci sono paramenti; l’Eucaristia domenicale viene celebrata da tutte e tutti insieme, e perciò il canone (infine redatto da noi) viene letto coralmente da tutte e tutti i presenti; la Comunità, a prescindere se ci siano o no “preti” ordinati, spezza il pane memore della morte e della risurrezione di Gesù, il quale aveva detto: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Matteo 18, 20). Il “laico” Giovanni accettò volentieri questo nuovo cammino.

Con il tempo la riflessione, anche teologica, ma partendo dalla prassi, sui ministeri e sull’Eucaristia, si è approfondita; e chi voglia saperne di più può leggere Fate questo in memoria di me. Condividere il pane nell’Eucaristia e nella vita – il contributo che la Cdb san Paolo inviò al Sinodo dei vescovi che nel 2005 avrebbe affrontato il tema dell’Eucaristia (testo completo in Adista documenti n. 6, 22-1-2005). […]

Molti sono i libri scritti da Giovanni “laico”. Si rimane meravigliati nel vedere quanti temi egli abbia toccato, e come abbia osato affrontare anche argomenti tabù, proponendo soluzioni ardite. Con Il diavolo, mio fratello Franzoni riprende la tesi di Origene (III secolo), secondo il quale in un futuro indefinito il Signore avrebbe ricomposto l’ordine turbato del cosmo e delle sue creature, e avrebbe salvato anche Satana. In molti scritti, poi, Giovanni ha ribadito la sua convinzione: l’inferno non è eterno. Una dannazione “eterna” – egli affermava – era impensabile con la misericordia straripante di Dio. […]

[..] A parte i suoi libri, praticamente su ogni numero di Confronti Giovanni affrontava un tema scomodo e, come precisava il titolo della sua ultima rubrica, lo faceva “dal margine”. Adesso la sua assenza ci peserà davvero. Speriamo di saper tener vivo il suo spirito, e di far crescere la sua eredità, straordinariamente ricca di valori, di ipotesi, di sfide, di sogni e di speranze.

Decine e decine di testimonianze, al suo funerale, hanno mostrato come la parola e l’esempio di Giovanni abbiano aiutato ragazze e ragazzi di un tempo – oggi donne e uomini maturi – a vivere in modo responsabile, con il cuore ben aperto per rimanere solidali con i curvati dalla vita e dalle ingiustizie del mondo. Molte di queste persone si sono dichiarate non più cristiane, o non più credenti. Parlando, negli ultimi mesi, di questo fenomeno, già ampiamente noto, Giovanni mi diceva, sereno e sorridente: «Lo dicono loro di non essere più credenti. Invece, forse lo sono più di me. E, comunque, saranno in prima fila tra i “benedetti dal Padre mio” quando il Cristo glorioso dirà loro: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare”». […]».