Ritorno alla normalità?
Un recente studio evidenzia che i pastori e le chiese sono ancora alle prese con “incertezza e instabilità” post-pandemia. Tra le maggiori preoccupazioni, l’invecchiamento di ministri e membri di chiesa
In un periodo di “incertezza e instabilità” a seguito della pandemia di COVID-19 e dei lockdown, le chiese stanno ancora faticando per attirare i giovani, per affrontare le preoccupazioni sull’invecchiamento dei ministri e dei fedeli, e per garantire la loro sopravvivenza futura. Lo dimostra un nuovo studio condotto dall’Hartford Institute for Religion Research presso la Hartford International University.
«Gran parte della società è ancora instabile e in continuo mutamento», ha spiegato Scott Thumma, professore di sociologia della religione e direttore dell’Hartford Institute for Religion Research, nello studio pubblicato ad agosto e intitolato «Ritorno alla normalità? I messaggi contrastanti della ripresa comunitaria fuori dalla pandemia».
Lo studio – che comprende 4.809 risposte ricevute da gennaio a maggio da 58 gruppi confessionali cristiani – fa parte di un più ampio progetto di ricerca quinquennale noto come «Esplorare l’impatto pandemico sulle congregazioni», finanziato da Lilly Endowment Inc.
Mentre i dati mostrano che circa un terzo delle chiese interessate nel sondaggio afferma che la loro frequenza è aumentata dall’inizio della pandemia nel 2020, più della metà afferma di aver subìto un calo leggero o grave della frequenza rispetto alla situazione in cui si trovavano prima della pandemia.
«Questo dato solleva la questione dell’impatto che la pandemia ha avuto sulla crescita della congregazione e sulle traiettorie del declino. Anche se il modello di declino non è drammatico al momento, l’impatto della pandemia non è ancora finito», osserva lo studio. «Le congregazioni rimangono ottimiste riguardo al loro futuro, ma è anche evidente che continuano a contrastare le condizioni preoccupanti che esistevano molto prima dell’arrivo del Covid-19».
Una condizione che le chiese stavano affrontando già prima della pandemia era l’invecchiamento del clero e la crescente percentuale di membri di età superiore ai 65 anni.
Secondo lo studio, l’età media dei leader della chiesa è aumentata da 57 nel 2020 a 59 nel 2023, mentre la percentuale di fedeli con più di 65 anni è aumentata dal 33% al 36% nello stesso periodo. Per le principali chiese protestanti, quasi la metà della congregazione risulta avere più di 65 anni.
«Le chiese cristiane e i loro leader sono significativamente più anziani a causa dell’insufficiente rappresentanza delle generazioni più giovani. La percentuale di partecipanti di età inferiore ai 35 anni (bambini, giovani e giovani adulti) è diminuita dal 37% nel 2020, al 35% nel 2021 e al 32% nel 2023», osserva lo studio.
Lo studio ha inoltre rilevato che con l’invecchiamento demografico, le chiese man mano che emergono dalla pandemia non hanno mostrato «la volontà di cambiare per affrontare le nuove sfide», anche se avevano espresso interesse a farlo all’inizio della pandemia.
Dal primo sondaggio fatto nella primavera del 2021, questo importante indicatore di adattamento e innovazione ha registrato una tendenza al ribasso sia in termini di accordo generale che di percentuale di chiese fortemente d’accordo con questa affermazione.
«Ovviamente, le dinamiche congregazionali e i modelli di culto sono cambiati in molte chiese negli ultimi tre anni, ma questa scoperta sembra indicare che la loro precedente flessibilità e creatività in risposta alla pandemia sta cominciando a diminuire».
Chiesa ibrida
Nonostante la crescente disponibilità delle chiese ad adattarsi al cambiamento, la maggior parte delle chiese ha scelto «il culto ibrido», avendo membri online e di persona a vari livelli.
Circa il 73% delle chiese oggetto dello studio offre culto sia di persona che virtuale, rispetto a solo il 20% delle chiese che hanno affermato di offrire culto in streaming online nel 2019.
Lo studio mostra che il culto ibrido è diventato un pilastro delle congregazioni oggi, in parte perché alcuni membri della chiesa lo hanno richiesto, ma si è riscontrato che le chiese che offrono questo modello di culto hanno una frequenza media più elevata e donazioni pro capite più elevate.
Gli studiosi hanno notato, tuttavia, che le chiese dovranno investire in un migliore utilizzo della tecnologia per aumentare il coinvolgimento tra coloro che partecipano virtualmente.
«Trovare modi per migliorare l’impegno dei partecipanti virtuali rimane una sfida per la leadership della congregazione, e rappresenta una grande promessa sia per far crescere che per rafforzare le chiese», osserva lo studio.
«Abbracciare un modello di chiesa ibrido significa che la leadership deve guardare oltre gli sforzi minimi per offrire culti in streaming, e iniziare a trovare modi virtuali per rafforzare le relazioni, stimolare il volontariato e il servizio diaconale, e offrire formazione e cura pastorale ai partecipanti online», si legge ancora nella ricerca. «Purtroppo, anche se quasi tre quarti delle chiese utilizzano pratiche di culto ibride, la maggior parte dei programmi congregazionali è tornata a un modello esclusivamente in presenza».
Difficoltà del clero
I pastori americani continuano a invecchiare, con la maggioranza che recentemente riferisce che sta diventando sempre più difficile trovare giovani cristiani maturi disposti ad impegnarsi nel pastorato. Lo studio di Hartford ha inoltre rilevato che nel 2023, più della metà, ovvero il 51% dei pastori intervistati, ha affermato di aver pensato di lasciare il proprio lavoro rispetto al 37% di due anni prima. È stato riscontrato che i pastori più giovani erano più propensi a nutrire questo pensiero. «Uno sguardo approfondito su chi è più propenso a pensare di lasciare il ministero pastorale mostra che si tratta più probabilmente del clero con una qualsiasi delle seguenti caratteristiche: giovane età, donna, part-time, doppia professione, assunzione recente, e scarsa affinità con i membri di chiesa.
«I ministri che si trovano in circostanze più difficili sono anche più inclini a prendere in considerazione l’idea di dimettersi», aggiunge lo studio. «Ad esempio il clero alla guida delle congregazioni che hanno difficoltà finanziarie, che hanno una visione negativa del futuro e che hanno maggiori conflitti, ha maggiori probabilità di prendere in considerazione l’idea di lasciare il ministero».