Idealità e limiti della prima pastora svizzera

La nipote giornalista ricostruisce la vicenda di Greti Caprez-Roffler, che dal 1931 guidò una chiesa riformata

La biografia della teologa e prima pastora svizzera, Greti Caprez-Roffler, si distingue per lo spirito di franchezza che muove il ricordo di Christina Caprez, nipote e biografa. Franchezza che deve aver animato la nonna e l’angolo di Prettigovia in cui sta il villaggio di nome Furna, dove, il 13 settembre del 1931, viene scelta come pastora proprio lei, donna sposata di venticinque anni, in barba alle disposizioni del Consiglio ecclesiastico della Chiesa evangelica riformata. Se il nostro Heer (così viene chiamato il pastore in Prettigovia) non ha altro difetto che quello di indossare una gonna, bene, allora ce lo teniamo. In questa dichiarazione c’è tutta la sfrontatezza della gente di montagna, forte della distanza fra il proprio villaggio e i centri decisionali. Tuttavia, bisognerà attendere il 1963 affinché Greti e le altre pastore vengano ordinate a pieno titolo, inizialmente nel solo Cantone di Zurigo, e con una non piccola condizione: le donne possono essere elette nelle parrocchie in cui sono disponibili due sedi pastorali di cui la principale è destinata a un uomo.

Il periodo che va dal 1931 al 1963 rappresenta il paradigma delle difficoltà che le donne hanno attraversato per vedersi riconosciuta la propria professione. Trentadue anni di piccole e grandi vessazioni che non mettono in buona luce l’insieme del Corpo pastorale imbevuto di pregiudizi e senso del potere. La storia dei soprusi e degli abusi da parte degli ecclesiastici protestanti è ancora tutta da scrivere. Greti, dopo una breve esperienza in Brasile insieme al marito, persegue il disegno di diventare pastora. Nonostante cinque figli, bussa alle porte che contano, insiste, pretende, scrive sui giornali, fa conferenze, smuove le coscienze, cerca alleanze femminili, quelle maschili sono rare e preziose. Le teologhe nubili non si alleano con le sposate, ma Greti si muove in anticipo sui tempi, veste i pantaloni con disinvoltura, parla di educazione sessuale con libertà, ha un’intesa importante con il marito, amato fino all’ultimo con la passione dei sensi.

Eppure, in questa bella storia di emancipazione così antesignana, c’è qualcosa che stona, che non torna. Greti, negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale lavora presso un istituto correzionale, un ospedale psichiatrico e un carcere. È al corrente del fatto che gli internati sono persone non integrate, considerate scansafatiche, dissolute, vagabonde. Persone non conformi i cui reati spesso si limitano all’alcolismo, alla pigrizia, alla scarsa moralità. Una volta rinchiusi negli istituti di correzione o psichiatrici se ne perdono le tracce (fino agli anni Trenta portano le catene se a rischio di fuga). Negli anni Quaranta ci sono denunce e inchieste amministrative: la sezione femminile non ha luce, né riscaldamento, né acqua. Ebbene, nei diari Greti non critica il sistema disumano rivolto contro le donne dissolute che considera persone responsabili della propria situazione. Non un appunto sulla violenza dell’istituzione che testimoni la sua vicinanza alle donne a lei affidate. Così come non c’è traccia della guerra e del nazismo. Dice la figlia Elsbeth: «I miei genitori hanno avuto contatti in carcere con un traditore del paese che era stato condannato. Ci si sarebbe potuto aspettare che si opponessero alla violenza che là regnava. Io, però, non ricordo che se ne sia discusso o che abbiano espresso sdegno nei confronti del nazismo o su come venivano trattati gli ebrei».

Nel 1935 Greti riprende contatto con il suo ex professore Emil Brunner, già collega di Karl Barth. Questi la introduce nel Movimento del Gruppo di Oxford che pratica i cosiddetti Hauspartien, una forma di vita comunitaria basata sulle testimonianze delle opere di Dio raccontate dai singoli riuniti in assemblea. La pubblica confessione dei peccati è catartica, i testimoni la rendono vincolante. Si ammettono le proprie debolezze, l’obiettivo è il risveglio della chiesa dormiente. Greti e il marito aderiscono e praticano la ricerca dei propri peccati con fervore. Hanno scoperto la vera fede. Dio un giorno chiederà conto di ogni minuto sprecato e Greti si dedica alle conferenze settimanali in un misto di conservatorismo e femminismo radicale: La donna, le sue preoccupazioni e inibizioni, La vita di Cristo, Professione e matrimonio, Problemi generazionali, Come spiego la sessualità ai miei figli?

Per tutta la vita Greti ha tenuto un diario che parla per quel che dice ma soprattutto per quel che non dice. La franchezza riguarda quel che dice, tutto il resto è coperto da un velo di ingenuità rivelatore di quel che lei non vuole o non può vedere: la violenza sociale, il nazismo, e non ultimo il rapporto ambiguo con il padre, a sua volta pastore, un pastore importante, un uomo di potere.

* Christina Caprez, La pastora illegale. Vita di Greti Caprez-Roffler (1906-1994), prefazione di Daria Pezzoli-Olgiati. Locarno, Armando Dadò editore, 2023, pp. 440, chf 28,00.