Donne, alberi d’idee e di diritti
Ieri sera si è tenuta la serata pubblica del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi dal titolo: Oppressione, resilienza, trasformazione: donne nello spazio pubblico
Un albero delle idee (in legno) ha accolto ieri sera l’ingresso al Tempio valdese di Torre Pellice (To) il folto pubblico, accorso alla serata pubblica tutta al femminile del Sinodo delle chiese valdesi e metodiste intitolata «Oppressione, resilienza, trasformazione: donne nello spazio pubblico», con Daniela Di Carlo, Asmae Dachan, Annalisa Camilli, Alessandra Trotta e efficacemente introdotta e condotta da Susanna Ricci con l’accompagnamento musicale al pianoforte di Magali Gonnet.
«Parliamo di sazio pubblico, della sua trasformazione grazie all’impego femminile», così ha esordito Ricci presentando le ospiti in sala. «Sappiamo che quando le donne entrano nella spazio pubblico si avvia una trasformazione non solo sociale, ma anche economica, politica e legislativa; questa sera cercheremo di fotografare il presente, di capire su quali binari si stia viaggiando guardando alle battaglie del passato e a quelle da fare».
La serata è stata trasmessa in diretta da Radio Beckwith Evangelica (Rbe) in modo integrale per far cogliere appieno il senso della serata.
Ad aprire il dialogo con il pubblico è stata Daniela Di Carlo, teologa, pastora della chiesa valdese di Milano esperta di questioni di genere. Un’altra domanda ha interrogato il pubblico in sala, ossia qual è il tempo propizio perché le donne possano occupare lo spazio pubblico e soprattutto partecipare alla trasformazione del mondo?
«Il tempo è adesso, il tempo è giunto – ha chiosato Di Carlo – per ascoltare il sapere delle donne, per vedere finalmente i corpi e le storie di tutte le persone che sono state oppresse. Il tempo di saper riconoscere i corpi che sono stati “razzializzati” e di quelli che sono stati sottomessi alla violenza di genere. Adesso è giunto il tempo di ascoltare la sapienza delle donne che sono capaci di toccare tutti i corpi, anche quelli ai quali è negata l’esistenza, perché messi ai margini dall’abilismo che vede soltanto come normali coloro che hanno e sono dentro la norma dell’essere maschio, dell’essere bianco, dell’essere eterosessuale, dell’essere un uomo di potere, dell’essere bello, dell’essere comunque capace di segnare il tempo del mondo. Adesso e proprio adesso è giunto il tempo di vedere i corpi omosessuali, quelli trans, quelli non binari, adesso, non domani, non dopodomani, adesso è giunto il tempo di vedere la violenza che è presente all’interno di molte famiglie patriarcali che danno origine a femminicidi e dove si consumano la maggior parte di abusi sessuali. […] di vedere chi sbarca lungo le coste dell’Italia […]». E dunque, come possono le chiese anch’esse non essere più luoghi ambigui, incoerenti e «razzisti, perché lo siamo razzisti – afferma Di Carlo – trasudiamo razzismo. Abbiamo capito che il linguaggio oggi ci impone una grande rivoluzione. Tanta pubblicistica ha ricordato che la lingua deve dare voce alla diversità e alla complessità. Le donne hanno avuto una grande merito, creare rete, spostare il mondo. Le donne devono e già oggi occupiamo lo spazio pubblico, attraverso il simbionte politico. In biologia il simbionte è un corpo reso dall’interazione tra due organismi che si associano per sopravvivere. Dovremo imparare ad associarci per portare valori positivi e nuovi per tutte e tutti e le chiese possono diventare dei simbionti politici […]».
Poi la parola è passata ad Asmae Dachan, giornalista, docente, fotografa, poeta, scrittrice italo-siriana che collabora con diverse testate nazionali internazionali scrivendo di diritti umani di dialogo interreligioso e attivista per la pace, alla quale è stato chiesto portare la sua esperienza, «Oggi il mondo nelle sue varie articolazioni ci invita quotidianamente a riflettere. La Siria, la mia terra natale, Aleppo, da quasi 13 anni, purtroppo, vive una guerra senza fine e oltre alla guerra sono subentrati altri fenomeni come quello del terrorismo che hanno spinto milioni di persone a migrare. Su 22 milioni di abitanti in Siria, prima del conflitto, oggi circa sei milioni e mezzo sono gli sfollati interni e altrettanti profughi. E approfitto di questa occasione per dire il mio grazie all’Unione delle chiese metodiste e valdesi per vare messo in salvo e in sicurezza tanti siriani e bambini e donne vulnerabili grazie ai corridoi umanitari. Anche l’Etiopia oggi dopo anni di guerre destabilizzazioni vive ancora un diffuso patriarcato e dove i diritti delle donne percorrono ancora una strada in salita. Anche in Tanzania è oggi molto diffuso un fenomeno delle lavoratrici domestiche, ossia parliamo di migliaia di bambine e di donne che vivono di fatto come schiave all’interno delle case e delle famiglie e che sono costrette a lavorare senza sosta e senza salario e prive di ogni forma di assistenza medica, privando di fatto giovani possibili studentesse si poter usufruire di un percorso scolastico. Nelle loro migrazioni spesso verso gli emirati arabi, visti come un miraggio rispetto alla situazione di partenza, ma dove la situazione non è certo migliore, anzi. Donne e bambine che nel periodo pandemico sono state spesso abbandonate dalle famiglie d’adozione per la strada. Persone che spesso sono dunque costrette a fuggire verso l’Italia e la Spagna, la Grecia, tutte porte d’Europa, che spesso diventano per queste persone nuove barriere, muri insolcabili, fili spinati di discriminazioni. Discriminazioni che possiamo definire nuove guerre. Come la discriminazione di genere, povertà diffuse. Non guerre portate avanti con le armi ma con le parole, con atti e atteggiamenti, con le violazioni dei diritti umani. Persecuzioni religiose e politiche, persecuzioni sessiste. […] Oggi siamo chiamati a prendere il quel dolore per trasformarlo in forza, metterlo sulle nostre spalle per proteggere tante persone. Lo stanno facendo tante donne nel mondo. Come ricordava Virginia Woolf, oggi dobbiamo avere una stanza tutta per noi. Oggi non saremmo qui, insieme alle relatrici della serata, se non avessimo avuto la possibilità di avere una stanza tutta per noi: un posto per scrivere, un posto per cercare noi stesse, un posto dove non ci siano differenze di genere. Credo che ogni donna del mondo debba poter avere una stanza personale per far crescere ogni singola trasformazione».
Annalisa Camilli, giornalista d’inchiesta, scrive su Internazionale, ha ricordato il profluvio di stereotipi che tutt’ora condiziona la società italiana e internazionale: «Nonostante il protagonismo femminile, molte donne hanno ancora paura ad affrontare strade buie, di prendere la parola, di partecipare alla vita pubblica, e quindi hanno paura di poter essere rimesse in un angolo, dal quale credevano di essere uscite, di vivere in un mondo che non scelto. I nomi di tutte queste donne devono essere scritti, ricordati, i nomi delle donne uccise da mariti, dai compagni, dalla violenza verbale e fisica. Oggi, come ricordava Chiara Valerio su Repubblica, tutte queste donne devono essere citate e ricordate. Di tutte le donne uccise “dall’amore”. Lea Melandri sosteneva che il dominio dell’uomo sulla donna si nasconde proprio nella confusione legata al concetto interpretativo delle parole, amore e violenza. La violenza si esercita sulle persone più forti, sulle persone che oppongono al dominio, proprio su di loro si scatena l’aggressività più feroce. Le donne, le femministe, che ci hanno preceduto hanno insegnato a tutte quale possa essere anche la violenza dele parole, degli sguardi […]». Camilli ha concluso il suo intervento leggendo un testo di Michela Murgia, ricordando un suo gesto di coraggio, che oggi, ha concluso «dev’essere contagioso».
Con le conclusioni, la moderatora Alessandra Trotta, ringraziando le ospiti della serata, ha ricordato quanto il senso dell’incontro fosse stato pienamente raggiunto: «Una convergenza di significati, di linguaggi diversi, teologia, viaggi, narrazioni, dati, musica, hanno regalato pluralità alla serata. Donne che sono presenti nello spazio pubblico, che lo valorizzano. Il divide et impera oggi è sempre più utilizzato per indebolire, per frammentare i diritti, per annichilire l’impegno politico, che oggi vive l’epoca più bassa della storia. Oggi le donne invece dimostrano di essere protagoniste anche nell’impegno politico per vivere il “tempo propizio della trasformazioni”, un tempo che molte difendono con la loro stessa vita. Oggi tutto ciò che è emerso ricorda che la qualità dello spazio pubblico dev’essere conquistata, dev’essere difesa. Guerre, violenze barbariche, oppressioni, negazione dei diritti sono da guardare in modo intersezionale. L’abominio del dominio, la cura e la conoscenza del linguaggio, il ricordo, come quello biblico dei nomi, del dar voce, soprattutto di chi non c’è più. Dietro a questi concetti chiave abbiamo ascoltato possibili trasformazioni del mondo che siamo chiamati a fare nel quadro del nostro impegno di essere credenti e con coloro con i quali saremo in grado di “associarci”». In molti hanno dimostrato questo percorso ieri sera, scrivendo e consegnando all’albero della vita le loro proposte d’impegno.
(Foto Pietro Romeo)