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Lampedusa, un’altra estate nell’isola che non c’è

A Lampedusa non cambia niente. Un’altra estate di turisti e di approdi di persone che migrano rischiando la vita. All’interno dell’hotspot di Contrada Imbriacola, a fronte di una capienza massima di poco più di 300 persone, le persone continuano a sostare per troppe ore, a volte giorni, in condizioni non dignitose. Perché si tratta di un luogo non adatto a ospitare così tante donne, uomini, bambini. Recentemente la struttura è passata sotto la gestione della Croce Rossa Italiana. Anche negli ultimi giorni gli approdi al Molo Favaloro, il piccolo molo dell’isola, proseguono, si intensificano, a causa del meteo favorevole.

I migranti partono da Libia e Tunisia. E proprio il 17 luglio Ursula Von der Leyen, Giorgia Meloni e Mark Rutte hanno ottenuto il sì del presidente tunisino Kais Saied al Memorandum d’intesa con l’Unione Europea (Ue). Il testo «è un modello di partenariato» con i Paesi del Nordafrica, per la premier italiana e prevede: assistenza macrofinanziaria, relazioni economiche, cooperazione energetica, nel solco della strategia della Commissione europea. 150 milioni di euro di fondi dovrebbero essere stanziati per sostenere il bilancio del Paese in gravissima crisi economica. I restanti 900 milioni verranno erogati «quando ci saranno le condizioni», come ha spiegato Von de Leyen ribadendo l’urgenza «di un’efficace cooperazione sulla migrazione». Saied, per il contrasto ai trafficanti, l’attività Sar (search and rescue, missioni di ricerca e soccorso in mare, ndr) e la gestione delle frontiere Sud, ha ottenuto 105 milioni, gli stessi già annunciati dall’Ue a giugno. Sullo sfondo, il rapporto del Paese maghrebino con il Fondo monetario internazionale, che chiede riforme per sbloccare ingenti prestiti. Ma questa sembra un’altra storia, quando si guarda al mare di Lampedusa.

Intanto, mancano pochi mesi all’anniversario del naufragio del 3 ottobre. Saranno dieci anni, quest’anno, da quella notte in cui morirono 368 persone. La Federazione delle chiese evangeliche in Italia è presente sull’isola proprio all’indomani di quel fatto. Da allora, e sulla scorta di quanto successo, sono nati i corridoi umanitari. I progetti a Rosarno e in Bosnia. Le persone, però, continuano a morire nel Mediterraneo. I numeri sono solo stime al ribasso, perché è impossibile contare i dispersi. Abbiamo ancora negli occhi quanto accaduto a Cutro, in Calabria, altre 94 persone morte.

Ricorderemo quei morti, quei dispersi e cercheremo di interrogarci anche sul ricordo, sul senso di riunirsi ogni anno, di continuare a “dire quei nomi” e cercare di ridare dignità alle persone che sono morte, come cerchiamo di fare ogni giorno, sull’isola siciliana e non solo. È quello che proviamo anche a fare nel lavoro al cimitero di Lampedusa, insieme, come sempre, alla popolazione dell’isola e alle persone che incontriamo nel nostro percorso, animate dalla volontà di dare un nome ai morti, ricordare, rispettare la volontà delle famiglie e il loro lutto.

A dieci anni dal naufragio in mare del 3 ottobre 2013, dunque, come Mediterranean Hope – Fcei e con il Dipartimento Saras della Sapienza Università di Roma organizzeremo un workshop tra studiosi di diverse discipline da una parte e operatori, operatrici e società civile isolana dall’altra, sul tema della memoria, della sua costruzione condivisa e dei simboli in cui si esprime. Lo study case del seminario sarà il cimitero di Lampedusa che, da anni, appunto, accoglie le salme di migranti, talvolta senza nome, di incerta appartenenza religiosa e provenienza geografica. «Questo luogo, negli anni, ha acquistato un crescente valore simbolico al quale però non ha corrisposto una riflessione adeguata sull’architettura e i simboli che lo caratterizzano. Il tema diventa di grande interesse ed attualità nel momento in cui si avvia un cantiere di ampliamento e rinnovamento della struttura», come è scritto nella presentazione dell’iniziativa, che si svolgerà dal 28 al 30 settembre.

Ma la memoria non è solo qualcosa che riguarda il passato. Vuol dire come costruiamo il futuro, che cosa intendiamo fare per cambiare il presente. Nell’estate più calda mai registrata, pare evidente che le migrazioni, per ragioni climatiche, di ingiustizia globale, per mille motivi, continueranno. Alzare muri e steccati ha funzionato? Difendere i confini è servito?

Su una stele nel cimitero di Lampedusa c’è incisa una frase di Cesare Pavese, tratta da Il mestiere di vivere: «Quale mondo giaccia al di là di questo mare non so, ma ogni mare ha un’altra riva, e arriverò».