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Addio a Luigi Bettazzi, voce di Pace

È morto ieri all’età di 99 anni don Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea. Era nato a Treviso nel novembre del 1923; ordinato presbitero nel 1946, aveva poi studiato alla Pontificia Università Gregoriana laureandosi in Teologia, e poi in Filosofia a Bologna. Nel 1963 ricevette l’ordinazione episcopale dal cardinale Giacomo Lercaro. In questa veste partecipò ad alcune sessioni del Concilio Vaticano II, ultimo testimone, fra i vescovi italiani, di quell’evento.

Molte sono state le occasioni di incontro ecumenico con Luigi Bettazzi negli anni in cui fu vescovo di Ivrea: iniziative comuni per la pace, impegno che svolse anche in quanto presidente di “Pax Christi”, e a mobilitazioni contro il razzismo. Nel 1994 partecipò a una tavola rotonda nell’ambito del Convegno della Società di Studi valdesi «La spada e la croce», dedicato alla cappellania nelle chiese evangeliche italiane. Era l’epoca in cui, con la Guerra del Golfo, il panorama internazionale e normativo aveva cominciato a doversi ridefinire (e non è ancora avvenuto), e monsignor Bettazzi denunciò la tendenza di molti Paesi, fra cui il nostro, a considerare motivo di possibile intervento bellico la minaccia per gli interessi nazionali, anche ben fuori dai nostri confini.

Un anno prima, in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, invitato a predicare nel tempio valdese di Ivrea, aveva scritto un articolo per Riforma (n. 5/1993) nel quale sosteneva come l’ecumenismo debba partire «dall’accoglienza della grazia redentrice di Cristo e dall’amore fraterno. Sarà poi lo Spirito a guidarci sulle vie di una più piena comunione, in un cammino di comune conversione».

Se penso a monsignor Luigi Bettazzi, scomparso a 99 anni ad Albiano di Ivrea, ho un ricordo speciale che risale al gennaio del 1999: quell’anno sarebbe andato in emeritazione da vescovo di Ivrea e decise di accompagnarmi in tutte le celebrazioni ecumeniche della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: sicuramente due a Ivrea (alla chiesa valdese e in una chiesa cattolica), a Chivasso e probabilmente anche in un’altra parrocchia del Canavese, forse Caluso, forse Rivarolo. La cosa mi colpì: a un pastore valdese capita di partecipare a celebrazioni ecumeniche con i vescovi locali durante la Settimana di preghiera, ma di solito ciò avviene a “casa loro” o a “casa nostra” (se li si invita con insistenza): mai per quasi una settimana consecutiva, mai in luoghi che non siano cattedrali o chiese prestigiose.

Credo che questo aneddoto dica molto della personalità di Bettazzi e del suo spirito di dialogo. Chi è coinvolto nel dialogo ecumenico si trova sovente in situazione un po’ strane, soprattutto quando la controparte ha un ruolo apicale, come un vescovo: una gran quantità di impegni concentrati in una settimana o poco più, in un mese infelice come quello di gennaio, di solito usando testi già preparati da altre persone che fanno parte di chiese di Paesi esotici, decontestualizzati. Serate in cui ci si scambiano grandi sorrisi e qualche abbraccio formale, magari si esprimono con diplomazia i propri “mal di pancia” ecumenici, e poi arrivederci all’anno prossimo.

Al contrario, incontrarsi quattro o cinque sere di seguito permise una relazione reale, tra colleghi. Senza negare le differenze, le peculiarità, le reciproche passioni (la sua per la pace nel mondo e la giustizia sociale, in quel contesto la mia per l’ecclesiologia e la collaborazione nella formazione dei membri di chiesa e il catechismo). Ripensando a quella settimana di tanti anni fa, mi dispiace dover constatare che non mi è mai più capitato di avere una relazione così franca e paritaria con un vescovo cattolico.


Foto di Francesco Pierantoni