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La musica nei romanzi di Milan Kundera

Chi sono io per commemorare Milan Kundera? Per parafrasare il papa argentino. Infatti non ho titolo né capacità per farlo. Stiamo parlando di uno scrittore che ha lasciato un’impronta sulla letteratura mondiale, chi non si sentirebbe inadeguato? Se l’impronta andrà oltre il tempo presente, lo deciderà il grande protagonista del romanzo della vita, il Tempo.

Perciò mi intrufolo di sbieco in territorio Kundera per sentieri traversi che mi sono più congeniali. «Fino a venticinque anni ero attratto molto più dalla musica che dalla letteratura», scrive. Era figlio di Ludvik, importante pianista e musicologo, e allievo di ? Vaclav Kapral?, padre di ? Vítězslava Kaprálová?, di cui vorrei qui stendere un incantato elogio per la sua musica e per lei stessa, morta venticinqueenne nel 1940. Sarebbe fuori posto, perciò richiamo le bellissime pagine che Milan ha scritto su ? Leoš Janáček?, maestro di suo padre. Janáček chi? Ci vorrebbe qui un’altra diramazione o, meglio, una compiuta «variazione» e Kundera almeno su questo avrebbe toni di apprezzamento.

È lui il primo a riconoscere che i capitoli dei suoi romanzi potrebbero contenere l’indicazione «moderato, presto, adagio», che le «battute» si susseguono e sono visibili, che il «motivo», la «polifonia» ecc. Questa è una delle principali ragioni per cui mi sono piaciuti i suoi romanzi, costruiti su un ritmo che si rende tangibile, con cui puoi sintonizzarti e che l’arte della variazione non annulla ma fortifica. Fin dal primo, Lo scherzo, pubblicato a Praga nel 1967, in Italia nel ’69. Una radicale sarabanda su come si era ridotto il regime mentale della Cecoslovacchia soverchiata da uno stalinismo di seconda mano. Ma il ritmo, le dissonanze, i ritornelli, i ritardando e accelerando sono puro Janáček. Nel 1975 andrà in esilio in Francia e diventerà uno scrittore francese, di modi e di lingua. Qualche compatriota non glielo perdonerà.

Ho amato di meno i testi saggistici, perché troppo disinvoltamente genio e kitsch, di cui, nel più pop dei suoi romanzi, L’insostenibile leggerezza dell’essere, fa un’analisi sopraffina anche se un po’ claudicante.
Genio: «L’uomo curvo sulla sua motocicletta è tutto concentrato sull’attimo presente del suo volo; egli si aggrappa a un frammento di tempo scisso dal passato come dal futuro; si è sottratto alla continuità del tempo; è fuori del tempo; in altre parole, è in uno stato di estasi» in «La lentezza». Ho un buon chilometraggio motociclistico alle spalle, l’estasi mi appartiene. Kitsch: «“Einmal ist keinmal”. Tomáš ripete tra sé il proverbio tedesco. Quello che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto. Se l’uomo può vivere una sola vita, è come se non vivesse affatto» in L’insostenibile.. Di alto bordo, ma kitsch.

Nel 2009 esce da noi Un incontro e su quest’altro sentiero io mi tolgo un peso dallo stomaco. Ho letto e molto apprezzato, lo confesso, alcuni romanzi del fascista, opportunista, camaleonte, antifascista, incoerente dalla testa ai piedi, ? Curzio Malaparte?. In particolare La pelle. E cosa fa Kundera? dice che è un «arciromanzo e “La nuova Europa” uscita dalla seconda guerra mondiale viene colta nella Pelle in tutta la sua autenticità; cioè da uno sguardo che, non alterato da considerazioni a posteriori, ne rivela l’abbagliante novità nell’istante stesso della sua nascita». Da allora ho abbandonato le mie letture clandestine e sono uscito all’aria aperta.

E adesso mi tocca una virata d’alto mare. Il Caos che scansiona l’universale altalena vita/morte l’ha combinata bella. Si fa per dire. Milan Kundera è nato il primo aprile del 1929 ed è morto, come sappiamo, l’undici luglio del 2023. Gerard Lutte è nato venti giorni prima di Kundera ed è morto nella notte tra il 10 e l’11 luglio 2023. Mi intenerisce e mi turba questa concomitanza. Forse Lutte qualcosa sapeva di Kundera, non viceversa. È un apparentamento che rende il Caos meno caotico e, pur non avendo più spazio a disposizione, traccio per segmenti la vita di Gerard e il lettore, lettrice faccia dialogare i due dentro di sé, rispettando le fragili grandezze con cui ha a che fare, come fosse l’indice di un romanzo di Milan:
belga di nascita
studia a Roma e a Torino
1957 prete cattolico di confessione salesiana
Insegna Psicologia dell’età evolutiva alla Sapienza, ma vive e agisce tra i baraccati di Prato Rotondo a Roma, poi alla Magliana.
«No, così non si fa», dice la Casa Madre, no salesiano, poi no prete
Va in Nicaragua quindi in Guatemala dove fonda il “Movimento dei ragazzi e delle ragazze di strada” (Mojoca),
Il principio psicopedagogico fondativo è l’amicizia liberatrice.
Muore tra di loro.



Foto di Elisa Cabot