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Sudan. Basta violenze, è ora di alzarsi

Il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) è tra le organizzazioni ecumeniche, con sede in Africa, che ha deciso di firmare una dichiarazione congiunta, lo scorso 24 giugno e relativa alla terribile crisi che si sta vivendo nel Sudan.

La dichiarazione è una risposta alle attuali tensioni e giunge dopo ad aver «ascoltato gli esiti della situazione e – in particolar modo – dopo aver ricevuto aggiornamenti da parte dei partner sudanesi locali, quotidianamente costretti a subire minacce e a dover vedere le loro sedi religiose quotidianamente distrutte, colpite da atti di violenza», si legge nel testo (pubblicato sul sito del Cec).

L’appello, prosegue esprimendo profonda preoccupazione per il fatto che «il conflitto iniziato lo scorso 15 aprile sembra non far intravvedere prospettive immediate di mediazione, tantomeno, di una possibile fine».

Le organizzazioni, hanno poi espresso la loro preoccupazione «perché giungono continue segnalazioni di distruzione e di saccheggio ingiustificato a infrastrutture civili e pubbliche, comprese le scuole e gli ospedali».

Ricordando che, «ogni Stato è un attore nei conflitti armati e dunque ha obblighi, ai sensi del diritto internazionale umanitario, per la protezione dei civili e delle infrastrutture civili». La dichiarazione invita infine «la società civile a respingere ogni forma di odio o di possibile incitamento all’odio».

Una dichiarazione quest’ultima, che fa eco all’appello lanciato da papa Francesco alle parti in conflitto, chiedendo loro di «deporre le armi» e che invita «al dialogo», riaffermando «l’impegno a pregare per la pace e a sostenere tutti gli sforzi per una tregua sostenibile per la stabilizzazione del Paese».

La dichiarazione firmata dal Cec, condanna fermamente «ogni forma, ogni atto di violenza di tutte le parti in causa, perché tali atti sono contro la pienezza della vita del popolo di Dio».

Inoltre, il messaggio esorta i cittadini sudanesi a «rimanere vigili per evitare d’essere strumentalizzati, rischiando di di favorire il conflitto e di causare ulteriori divisioni. Infine, di rifiutare ogni forma di violenza» e di «alzarsi in piedi, tenere la schiena dritta, per chiedere collettivamente e pacificamente, soluzioni sostenibili per porre fine all’attuale violenza». Il documento esorta anche i governi regionali a «facilitare il movimento da un luogo ad un altro (senza restrizioni) sostenendo i rifugiati».