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I microbi che viaggiano insieme a noi

Dagli Appennini alle Ande: il titolo del racconto deamicisiano introduce a uno sguardo panoramico sulle malattie un tempo definite “tropicali” – oggi invece si preferisce parlare di “salute globale”. Tale è il tema dell’incontro organizzato a Torino martedì 20 giugno dall’Instituto de cultura latinoamericana e dal Colegio de Salamanca, entrambe realtà attive nel capoluogo piemontese. L’evento è fissato per le ore 18 all’Istituto di via Arcivescovado 1 ed è aperto a tutti previa prenotazione, ed è volto a offrire una panoramica sui rischi per la salute che si possono correre viaggiando fuori dai nostri confini, con particolare riferimento ovviamente al Sud America. L’incontro sarà tenuto da Elena Bozzetta (Ist. Zooprofilattico Sperimentale Piemonte-Liguria-Valle d’Aosta) e da Guido Calleri, presidente della Società italiana di Medicina tropicale e salute globale, ambito di cui è responsabile nell’Ospedale Amedeo di Savoia della città. Con lui abbiamo affrontato l’argomento più ampio dei rischi epidemiologici e delle possibili risorse per affrontarli.
– Dagli Appennini alle Ande, dalle Ande agli Appennini: gli spostamenti di persone vanno nei due sensi, e non riguardano le sole persone umane: che cosa succede sotto i nostri (ignari) occhi?
«Ogni anno 60 milioni di stranieri giungono in Italia e circa 12 milioni di italiani si recano all’estero. I viaggi sono in continuo aumento. Se l’uomo vuole spostarsi, per motivi di lavoro, di piacere, di necessità, non può che portarsi dietro i microbi con cui convive: ne è piena la pelle, la bocca, l’intestino, ecc. Le interazioni con gli animali e con l’ambiente modificano continuamente questo patrimonio di germi sia buoni sia cattivi. Per questo si parla oggi di “salute globale”, e di approccio alla salute di tipo one health: una sola salute per l’uomo, gli animali, l’ambiente. Anche gli animali vengono spostati con i loro microbi: mammiferi, di compagnia o per commercio o per alimentazione, uccelli in particolare migratori, insetti trasportati accidentalmente (vedi il caso della malaria “da aeroporto” o “da bagaglio”), e i microbi stessi possono essere spostati su supporti non viventi, ma nulla di ciò che viaggia è sterile. Una testimonianza del viaggiare dei microbi è il fatto che batteri resistenti agli antibiotici, una caratteristica specifica individuale, sono stati scoperti in una parte del mondo e poi trovati in tutto il mondo: vedi il caso dei microbi resistenti di tipo “New Delhi”, nome non casuale, di cui siamo pieni. Un’altra testimonianza è la comparsa dovunque di malattie dette “emergenti”, cioè conosciute ma che compaiono in un’area nuova, complici anche il cambiamento climatico e la diffusione dei vettori di malattia quali le zanzare».
– Quali misure si possono adottare, quantomeno per contenere l’entità degli effetti di questi fenomeni?
La preparedness è studiata ormai da molti anni, esistono organizzazioni, scuole, siti, studiosi che si occupano di prevedere ciò che può succedere e preparare il mondo all’impatto. Visto che parliamo di salute, soprattutto le strutture sanitarie devono essere preparate, sia a fare tutto il possibile per prevenire il contatto e quindi il trasporto dei microbi, tramite vaccinazioni, chemioprofilassi, indicazioni di comportamenti corretti, sia per intervenire precocemente e efficacemente al momento della malattia. Certamente per questo le strutture devono essere accuratamente preparate e organizzate al meglio, ma per questo devono avere adeguate risorse umane, strutturali, tecnologiche, economiche. Da noi il Sistema sanitario è ancora prevalentemente pubblico, l’unico in grado di dare un’assistenza universale, e come tale deve essere valorizzato e supportato economicamente».
– Come si può valutare il Sistema sanitario italiano di fronte all’eventualità che si ripresentino gravi eventi pandemici? Siamo attrezzati oppure con il Covid-19 sono venute alla luce delle lacune?
«Sicuramente il Sistema sanitario italiano ha vacillato davanti alla pandemia, così come hanno vacillato tutti i Sistemi nazionali esteri. Questo è successo per due ordini di ragioni: in primo luogo perché si è trattato di una patologia nuova e sconosciuta alla scienza, per cui non si sapeva che cosa fare né dal punto di vista della prevenzione (ricordiamo che all’inizio si è pensato che la trasmissione avvenisse solo a meno di un metro di distanza, cosa poi confutata dalla realtà, con tutte le conseguenze di contagio) né della terapia (ricordiamo quanti farmaci sono stati usati nei primi tempi, e che poi hanno dimostrato di essere inutili o dannosi). In secondo luogo si è trattato di un evento di massa in tempi brevi, con un numero di casi non previsto e non prevedibile, ancora ingrossato dal panico, di fronte al quale le strutture non erano sufficienti quantitativamente e non adatte dal punto di vista di strutture, attrezzature e personale, e ne sono state travolte. L’impatto è stato enorme e disordinato sia sugli ospedali sia sulle strutture territoriali, tra cui i medici di famiglia, e la rapidità della diffusione ha provocato l’impossibilità di un’organizzazione adeguata».
– La responsabilità non è mai solo della politica: esistono altri ambiti su cui lavorare, strategie educative, per quanto riguarda le malattie infettive, che possano essere proposte anche in sede scolastica?
«La consapevolezza è alla base di ogni meccanismo di prevenzione. È responsabilità della politica mettere i cittadini in condizione di essere informati sui rischi e sulle conseguenze. Il compito delle strutture sanitarie è di mettere in atto le politiche preventive, in primo luogo assistendo i viaggiatori con l’informazione, visto che sono i comportamenti il primo fattore di rischio (vedi le precauzioni alimentari, la salute sessuale, la protezione dalle punture di insetti, l’uso corretto dei farmaci), ma anche con le vaccinazioni, ormai disponibili per molte delle malattie dei viaggiatori, o con le chemioprofilassi (a esempio malaria). Anche di questa possibilità chiunque si muove deve essere informato, per cui è fondamentale il lavoro capillare delle scuole, delle associazioni, dei tour operator, delle aziende, delle società scientifiche».