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Joyce Salvadori Lussu, una vita avventurosa come un romanzo

«Porgimi l’arruffata lunga chioma,/ o selvaggio destriero!/ Ferma per un momento il passo altero,/ dona a me la tua forza ancor non doma!/ … Poi senza sella né briglia né morso/ …// Corriamo, amico mio, senza sentiero,/… / In alto, in alto, e forte amico, avanti! Più in alto ancor, non cessa quel richiamo!/ Questa spoglia mortale/ che c’ingombra alla terra lasciamo,/ poi liberi voliamo,/ verso l’alto purissimo Ideale!».

Questi versi, pubblicati nel febbraio 1926 su L’Amico dei fanciulli, ben esprimono, nelle parole di una Gioconda Salvadori tredicenne, alcuni tratti di colei che sarà Joyce Lussu: il senso di libertà e indipendenza, l’aspirazione agli ideali più alti, il coraggio… oltre all’amore per i cavalli.

Pupilla di Benedetto Croce, che ne apprezza il precoce talento, cresce nell’ambiente anticonformista creato dai coniugi Salvadori-Galletti rompendo i rapporti con le nobili famiglie marchigiane di origine per idee politiche divergenti. In casa libri e giornali non mancano, tra cui appunto il mensile per bambini protestante, edito a Firenze, anche se la famiglia non è religiosa. Un grande trauma per la giovane appena dodicenne è il brutale pestaggio del padre nel 1924 da parte dei fascisti, seguito dall’esilio in Svizzera della famiglia: un momento decisivo nella maturazione di Joyce e di suo fratello Max, che diventerà anch’egli personaggio di spicco della Resistenza europea.

Il ritratto che ne fa Silvia Ballestra*, scrittrice e studiosa marchigiana, sua lontana parente da parte di madre, ricchissimo di informazioni e godibile come un romanzo, è permeato dall’affetto e dalla stima dell’autrice verso questa donna straordinaria, con cui ha intrecciato un rapporto di amicizia oltre che di studio.

Questo dà un taglio particolare a una narrazione non saggistica, in cui si percepisce la compartecipazione dell’autrice a una vicenda già di per sé romanzesca: basti ricordare le fughe rocambolesche di Joyce ed Emilio Lussu, compagno di una vita e altro personaggio leggendario, da un capo all’altro dell’Europa in piena Seconda Guerra mondiale, calandosi di volta in volta nelle identità che i loro documenti falsi (spesso confezionati dalla stessa Joyce, fuoriclasse anche in questo) raccontano, fino a diventare stranieri a se stessi.

Emozionante il racconto del ritorno in Italia e della possibilità di esprimersi, finalmente, nella propria lingua, un aspetto importante, considerando la Joyce scrittrice, poetessa e traduttrice. Sicuramente il suo vissuto si riflette nel suo lavoro, per esempio nella scelta pionieristica di tradurre autori quasi sconosciuti, dal turco Nazim Hikmet, al portoghese Agostinho Neto, ai poeti africani, spesso leader politici o capi rivoluzionari in cui l’opera letteraria è legata inscindibilmente alla lotta politica: il suo contributo quindi non è solo letterario, ma soprattutto politico e civile, così come la sua traduzione, mai “filologica” o “letteraria”, sempre “umana”. Non a caso il suo metodo prevede l’incontro diretto con gli autori, di cui magari non conosce la lingua, e il lavoro passo passo insieme a loro.

Leggendo le avventure di questa donna indomita e coraggiosa, dall’intelligenza superiore messa al servizio dei campi più disparati (dallo spionaggio alla traduzione letteraria, dalla lotta contro regimi oppressivi all’impegno sociale), si attraversano i momenti principali della storia non solo italiana, ma mondiale: il colonialismo e le lotte post-coloniali in Africa, i regimi nazi-fascisti, le Resistenze e i rapporti diplomatici segreti, la ricostruzione postbellica, i complessi equilibri della guerra fredda, le lotte sociali, la nascita dell’ambientalismo.

Quest’ultimo è un lato forse meno noto, ma altrettanto interessante, che riflette ancora una volta la capacità di Joyce di anticipare i tempi, di cogliere il nodo dei problemi e adoperarsi per una loro soluzione. È tra le prime a riflettere sui temi dello sviluppo sostenibile, di un modello economico distruttivo, del rapporto fra donne ed ecologia.

Una figura poliedrica, in cui davvero «c’è tutto» come ben dice un’altra studiosa, Marcella Piccinini (citata a p. 214) e in cui, però, l’elenco di ciò che è stata non basta a definirla: partigiana, combattente, compagna di vita di Emilio Lussu, attivista politica, scrittrice e poetessa, traduttrice, storica, intellettuale… Ballestra utilizza anche la parola “sibilla” con cui qualcuno l’ha definita, un termine che mette in luce il legame con la “terra” e le culture locali (del nativo centro Italia, della Sardegna, patria adottiva, su cui compie e pubblica anche studi interessanti), il suo carattere profetico, l’anticonformismo fuori dagli schemi di genere del tempo, ma che appare modernissimo ancora oggi.

* Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, Bari-Roma, Laterza, 2022, pp. 235, 18 euro