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Le necro frontiere che oltraggiano la vita

A oltre un mese dal naufragio di Cutro è stata rinvenuta la salma numero 93. Ancora diverse le persone disperse e quelle non identificate. Valentina Delli Gatti, operatrice per la Diaconia valdese – Commissione sinodale per la diaconia sul territorio di Bologna, opera da remoto e sul campo con «Mem.Med», Memoria Mediterranea, progetto nato a ottobre 2022 da diverse organizzazioni già attive sul campo, come strumento di supporto legale, di memoria attiva, testimonianza e denuncia delle vittime di frontiere attraverso un lavoro di monitoraggio, ricerca e identificazione delle persone disperse nel Mediterraneo.

All’indomani del naufragio di Cutro, l’équipe del progetto «Mem.Med», ha operato in prima linea per accogliere le numerose richieste dei familiari e dei sopravvissuti alla strage e fornire loro supporto.

– Quali sono le maggiori difficoltà a cui vanno incontro queste persone e qual è la situazione che si è creata?

«Sin dal primo giorno, le famiglie delle vittime e le persone sopravvissute si sono scontrate con una serie di criticità burocratiche e logistiche che hanno reso deboli e inefficaci le procedure di ricerca, identificazione dei corpi recuperati dal mare e delle persone ancora disperse. Le persone e gli enti non governativi sono stati lasciati dalle autorità istituzionali competenti in balia di una mancanza di coordinamento generale, tanto che i sopravvissuti erano stati fatti alloggiare all’interno del Cara (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Isola di Capo Rizzuto in condizioni altamente precarie, mentre i familiari delle vittime dormivano in alloggi temporanei a proprie spese o in macchina. Soltanto a seguito di pressioni e denunce esposte pubblicamente, nonché su disposizione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, tutte le persone sono state trasferite in un hotel di Crotone».

– Come «Mem.Med», avete anche seguito diverse questioni riguardanti le salme delle vittime: qual è stato il vostro ruolo e che cosa avete riscontrato?

«Abbiamo sollecitato alla Procura l’urgenza di autorizzare il prelievo del dna non solo dai corpi delle vittime ma anche dai familiari, indispensabile alla comparazione del materiale genetico anche una volta ripartiti, in quanto unica forma di restituire un nome e un volto alle persone che il mare potrebbe ancora restituire in elevato stato di decomposizione. Non di meno, nella gestione del rimpatrio delle salme hanno prevalso negligenza e indifferenza, quando le bare delle vittime – disposte nel palazzetto di Crotone adibito a camera mortuaria – sono state spostate per una decisione del Governo di trasferirle al Cimitero islamico di Bologna, contro la volontà dei familiari e il rispetto delle morti. Un tentativo che si è scongiurato solo grazie alle proteste delle famiglie che hanno indetto un sit-in all’esterno del Palamilone bloccando l’uscita dei carri, per esigere l’autorizzazione al rimpatrio nei Paesi di origine o di residenza. Grazie al loro dissenso la Prefettura ha dovuto dunque accogliere la richiesta delle famiglie di trasportare e seppellire i propri cari in Afghanistan e Pakistan, e ha autorizzato il prelievo del loro dna.
In queste lunghe settimane – in cui il tempo si è sospeso per morti e vivi – i familiari hanno testimoniato l’ulteriore violenza del regime frontaliero sulla loro pelle, protratta nella negazione al lutto e l’oltraggio alla dignità delle morti».

– Ci sono stati momenti di grande impatto emotivo, ce ne può raccontare uno?

«Ci siamo recate con i familiari delle vittime sulla spiaggia di Cutro dove hanno camminato lungo l’intera battigia di sabbia e relitti alla ricerca degli oggetti dei propri cari, in un ultimo saluto rivolto al mare che ha inghiottito decine di persone. Un saluto culminato nella simbolica manifestazione dell’11 marzo sulla spiaggia di Cutro – mai sottoposta a sequestro – per rendere omaggio alle vittime e per ascoltare le voci dei familiari che, come Zahra, alla ricerca di suo fratello Sajjad, chiedeva di continuare le ricerche per tutti i dispersi. Zahra se lo sentiva che doveva restare e lottare. Pochi giorni dopo il corpo di Sajjad è stato estratto dal mare e identificato attraverso gli indumenti che portava indosso. Ma Zahra non ha mai smesso di esprimere la necessità di continuare le ricerche anche per tutti gli altri dispersi, di prelevare il dna dai familiari. Il naufragio di Cutro non segna solo un evento drammatico nella storia e nella vita di ognuno di noi ma evidenzia le barbarie dei confini e del regime delle “necro-frontiere” che nega la vita e oltraggia la morte».