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Arbitri e giocatori, più dialogo

È in distribuzione nel territorio pinerolese il numero di aprile del free press L’Eco delle valli valdesi con un dossier su arbitri e giudici, l’altra faccia dello sport.

Qui di seguito un articolo per parlare dell’importante rapporto fra i direttori di gara e gli atleti. Buona lettura.

Poche settimane fa aveva fatto scalpore sui media il ritiro di una squadra saluzzese giovanile di calcio dal proprio campionato a seguito di un episodio di insulti rivolti alla giovane direttrice di gara. La scelta della società di auto-escludersi è stata sicuramente un atto forte ma dovuto; e purtroppo è solo la punta dell’iceberg di atteggiamenti violenti (sia verbali sia fisici con aggressioni da parte di atleti e pubblico, spesso parenti dei giocatori) verso la categoria arbitrale. Il ruolo dell’arbitro (o del giudice in alcuni sport) è però fondamentale per il corretto svolgimento della competizione.

Ne abbiamo parlato con Pino Di Leone, allenatore di calcio molto conosciuto ed educatore di professione, per cercare di capire meglio le dinamiche dei rapporti con la classe arbitrale. La presenza degli arbitri è ancora necessaria, nonostante le innovazioni tecnologiche che si stanno inserendo all’interno delle competizioni sportive?
«È obbligatoria. Immaginare una partita di calcio, senza la presenza, a presidio dell’andamento corretto dell’incontro è impensabile. Inoltre nel “mondo del pallone” è necessaria la guida di una terza figura, perché il regolamento non è conosciuto in modo approfondito da tutti. Poi ci sono dei distinguo importanti da fare. Il primo riguarda la presenza degli arbitri: non in tutte le categorie sono presenti in tutti i ruoli (guardalinee e arbitro principale) e l’atteggiamento è diverso da tenersi nelle categorie giovanili e in quelle degli adulti».

Una delle grandi difficoltà del settore è proprio quello delle risorse, che mancano. «In Promozione, giochiamo senza gli assistenti, e questo influisce sulle gare. Inoltre in alcuni casi, bisogna ammetterlo, gli arbitri arrivano in talune categorie perché ci sono spazi vuoti da colmare, non per meriti, mancando ancora di esperienza adeguata per la categoria». C’è anche una questione di educazione e rispetto da parte dei giocatori. «Assolutamente sì. In Inghilterra c’è un fair play che noi non ci immaginiamo neppure. Nessuno protesta quando un direttore di gara prende una decisione. Qui protestiamo sempre, e mi ci metto anche io come allenatore, e l’atteggiamento dei giocatori spesso è mirato a non facilitare il lavoro dell’arbitro, con la ricerca di ottenere calci di punizione o rigore anche quando il fallo non c’è. Fa parte del nostro Dna».

E qui si innesta un discorso più ampio che riguarda il settore giovanile e che Di Leone anticipava nelle righe precedenti. «Arbitrare gli adulti e arbitrare i giovani sono due “mestieri” diversi. Nei settori giovanili i direttori di gara devono essere più educatori che arbitri. Non ha senso sventolare un cartellino giallo in faccia a un ragazzino senza fornire l’adeguata spiegazione. Il clima sarebbe più disteso e collaborativo se le scelte arbitrali venissero serenamente motivate, magari con il sorriso sulle labbra. La responsabilità del comportamento corretto poi ricade sull’allenatore, che durante la partita ha un peso importante sui giovani in campo. Personalmente ho sempre preteso che i “miei” atleti non parlino agli ufficiali di gara, ma che io allenatore possa rapportarmi con loro ed eventualmente protestare».

Di Leone si è reso protagonista di gesti anche plateali, in nome della correttezza. «Gli allenatori hanno un ruolo fondamentale in tutte le categorie. Di fronte a una decisione sbagliata di un arbitro – che fa parte dell’ordine delle cose – come sbaglia un attaccante o un difensore o un portiere, possiamo portare dei correttivi. Come l’assegnazione di un rigore inesistente può portare a chiedere al mio giocatore di sbagliare intenzionalmente il tiro». In conclusione la prospettiva qual è? «Penso che ci debba essere una migliore comunicazione con la classe arbitrale. L’esempio lo devono dare giocatori e allenatori ma anche dall’altra parte ci deve essere rispetto e comprensione. L’arbitro ha un “potere” enorme anche a margine delle partite con ciò che può scrivere sul referto, nei casi di espulsioni e altri casi delicati. In questo caso non ci può essere una “difesa” da parte del giocatore (i ricorsi non li fa quasi nessuno) e fa fede ciò che viene scritto. E a volte pesa anche sulla vita privata del giocatore, in quanto sono documenti a tutti visibili. Oggi però questi atteggiamenti stanno cambiando, anche perché spesso ci sono delle riprese video che possono fare chiarezza su alcuni episodi».