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Cattive novelle!

Il Rapporto 2022-2023 di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nel mondo presentato ieri a Roma, presso la Sala stampa estera, e pubblicato in Italia da Infinito Edizioni (più di cinquecento pagine), non contiene buone notizie. Ricorda le continue violazioni dei diritti umani nel mondo «che alimentato impunità e instabilità», denuncia l’assordante silenzio sulla situazione dei diritti umani «in Arabia Saudita; la mancanza d’azione rispetto a quella dell’Egitto» e il rifiuto di contrastare l’atteggiamento israeliano nei confronti della popolazione palestinese.

«L’invasione su vasta scala dell’Ucraina – si legge – da parte della Russia, ha dato luogo a numerosi crimini di guerra, ha generato una crisi energetica globale e favorito un’ulteriore frattura di un sistema multilaterale, già indebolito. Ha anche messo in evidenza l’ipocrisia degli Stati occidentali, che hanno reagito con forza all’aggressione russa, ma hanno condonato o ne sono stati complici, gravi violazioni dei diritti umani altrove».

Il Rapporto segnala poi l’uso di «pesanti tattiche» da parte della Cina «per impedire l’azione internazionale sui crimini contro l’umanità che ha commesso, così come il fallimento delle istituzioni regionali e internazionali, favorito dagli interessi egoisti degli stati membri, di fronte alle migliaia di uccisioni in Etiopia, Myanmar e Yemen».

L’invasione russa dell’Ucraina «è un esempio agghiacciante di cosa può accadere quando gli stati ritengono di poter aggirare le norme internazionali e violare i diritti umani senza conseguenze», ha dichiarato ieri Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

«La risposta è stata rapida: gli stati occidentali hanno imposto sanzioni economiche a Mosca, inviato assistenza militare a Kyiv; la Corte penale internazionale ha avviato un’indagine sui crimini di guerra in Ucraina e l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha condannato l’invasione russa come atto di aggressione. Tuttavia, questo robusto e apprezzabile approccio è risultato in profondo contrasto con precedenti risposte a massicce violazioni dei diritti umani commesse dalla Russia e da altri stati e con la vergognosa risposta in atto a conflitti come quelli in Etiopia e Myanmar. Se quel sistema avesse funzionato per chiamare la Russia a rendere conto dei crimini commessi in Cecenia e in Siria, allora come oggi migliaia di vite si sarebbero potute salvare», ha proseguito Callamard.

Per i palestinesi della Cisgiordania, «è stato uno degli anni più mortali da quando, nel 2006, le Nazioni Unite hanno iniziato a registrare i numeri delle vittime: lo scorso anno sono stati 151 i palestinesi uccisi (tra i quali decine di minorenni) dalle forze israeliane. Queste hanno anche continuato a espellere i palestinesi dalle loro case. Il governo israeliano ha in programma una grande espansione degli insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata […]», afferma il Rapporto.

E ancora in tema di diritti e di migrazioni: «gli stati dell’Unione europea hanno aperto le frontiere alle persone in fuga dall’Ucraina dimostrando di essere, in quanto uno dei raggruppamenti più ricchi al mondo, più che in grado di ricevere grandi numeri di persone in cerca di salvezza e di dar loro l’accesso alla salute, all’educazione e all’alloggio. Al contrario, molti di quegli stati hanno chiuso le porte a chi fuggiva dalla guerra e dalla repressione in Siria, Afghanistan e Libia […]».

I doppi standard (ossia l’applicazione di principi di giudizio diversi per situazioni simili, o nei confronti di persone diverse che si trovino nella stessa situazione) dell’Occidente, ricorda ancora Amnesty, «hanno rafforzato stati come la Cina e consentito a Egitto e Arabia Saudita di evadere, ignorare o respingere le critiche sulla loro situazione dei diritti umani. Nonostante le massicce violazioni dei diritti umani, equivalenti a crimini contro l’umanità, nei confronti degli uiguri e di altre minoranze musulmane, Pechino è riuscita a eludere le condanne, a livello internazionale, da parte dell’Assemblea generale, del Consiglio di sicurezza e del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite […]».

La brutale repressione del dissenso nel mondo

«In Russia- si legge ancora -, dissidenti sono stati portati in tribunale e organi d’informazione sono stati chiusi solo per aver menzionato la guerra in Ucraina. Giornalisti sono stati imprigionati in Afghanistan, Etiopia, Myanmar, Russia, Bielorussia e in decine di altri stati del mondo, dove erano divampati conflitti. In Australia, India, Indonesia e Regno Unito le autorità hanno introdotto nuove leggi per limitare le manifestazioni, mentre lo Sri Lanka ha fatto ricorso ai poteri dello stato d’emergenza per stroncare le proteste di massa contro la crescente crisi economica. Le norme entrate in vigore nel Regno Unito hanno dato alle forze di polizia poteri molto ampi, compreso quello di vietare “proteste rumorose”, compromettendo così la libertà di espressione e di protesta pacifica. La tecnologia è stata utilizzata come arma per diffondere disinformazione o per ridurre al silenzio o impedire le proteste.

In Iran le autorità hanno risposto con la forza illegale a una sollevazione senza precedenti contro decenni di repressione, ricorrendo a proiettili veri, pallottole di metallo, gas lacrimogeni e pestaggi: sono state uccise centinaia di persone, tra cui decine di minorenni. Anche le forze di sicurezza del Perú, a dicembre, hanno usato la forza illegale in particolare contro nativi e campesinos, per stroncare le proteste seguite alla crisi politica scaturita dalla deposizione dell’ex presidente Castillo. Giornalisti, difensori dei diritti umani e oppositori politici hanno subito repressione anche in altri stati, tra i quali Zimbabwe e Mozambico […]».

Di fronte alle crescenti minacce al diritto di protesta già nel 2022 Amnesty International aveva lanciato una Campagna per contrastare gli sforzi intrapresi «in modo sempre più intenso dagli Stati», per erodere il diritto fondamentale di protesta pacifica.

Amnesty, dunque, chiede l’adozione di un Trattato per un commercio libero dalla tortura che vieti la produzione e il commercio di equipaggiamenti per le forze di sicurezza intrinsecamente atti a commettere violazioni dei diritti umani e che sottoponga a controlli quelli spesso usati per compiere torture o altri maltrattamenti.

Gli stati non proteggono né rispettano i diritti e le donne ne pagano il prezzo

La repressione del dissenso e gli approcci incoerenti ai diritti umani hanno avuto un profondo impatto anche sui diritti delle donne: «La Corte suprema degli Usa ha annullato una duratura garanzia costituzionale sul diritto d’aborto e ha messo a rischio altri diritti umani di milioni di persone che potrebbero avere una gravidanza, quali quelli alla vita, alla salute, alla riservatezza, alla sicurezza e alla non discriminazione. Alla fine del 2022, diversi stati degli Usa avevano approvato leggi per vietare o limitare l’accesso all’aborto. In Polonia, attiviste sono finite sotto processo per aver aiutato donne ad avere accesso a pillole abortive. Le donne native hanno continuato a subire, in modo sproporzionato, alti livelli di stupro e di altre forme di violenza sessuale. In Pakistan ci sono stati diversi omicidi di donne da parte dei familiari ma il parlamento non ha approvato la legge sulla violenza domestica di cui stava discutendo sin dal 2021. In India, sono rimasti impuniti sia casi di violenza contro le donne dalit e adivasi che ulteriori crimini di odio contro le caste. In Afghanistan, a seguito di una serie di editti emessi dai talebani, c’è stato un grave arretramento dei diritti delle donne e delle ragazze all’autonomia personale, all’istruzione, al lavoro e all’accesso agli spazi pubblici. In Iran la “polizia morale” ha arrestato Mahsa (Zina) Amini poiché aveva una ciocca di capelli fuori dal velo: alcuni giorni dopo è morta a seguito di tortura. La sua morte ha dato vita a proteste nazionali in cui molte altre donne e ragazze sono state arrestate, ferite e uccise.

Nel 2022 il mondo ha continuato a subire le conseguenze della pandemia da Covid-19, ricorda infine l’organizzazione umanitaria: «il cambiamento climatico, i conflitti e gli shock economici, causati in parte dall’invasione russa dell’Ucraina hanno ulteriormente accresciuto i rischi per i diritti umani. La crisi economica ha fatto sì che il 97 per cento della popolazione dell’Afghanistan viva in povertà. Ad Haiti la crisi politica ed economica, esacerbata dalla diffusa violenza delle bande criminali, ha fatto finire oltre il 40 per cento della popolazione in una situazione di acuta insicurezza alimentare. Le condizioni meteorologiche estreme, acuite dal rapido aumento delle temperature del pianeta, hanno portato fame e malattie in diversi stati dell’Asia meridionale e dell’Africa subsahariana: ad esempio, in Nigeria e in Pakistan le alluvioni hanno avuto un impatto catastrofico sulla vita e sui beni di sussistenza delle popolazioni e hanno contribuito alla diffusione di malattie trasmesse dall’acqua, che hanno ucciso centinaia di persone […]».

DI fronte a questo scenario, «gli Stati non hanno agito nell’interesse dell’umanità né hanno risolto la dipendenza dai combustibili fossili, il principale responsabile della più grande minaccia contemporanea alla vita. Questo fallimento collettivo è stato un altro esempio della debolezza dell’attuale sistema multilaterale.

È fondamentale che «le istituzioni e i sistemi internazionali che dovrebbero proteggere i nostri diritti siano rafforzati piuttosto che indeboliti. La prima cosa da fare è finanziare appieno i meccanismi sui diritti umani delle Nazioni Unite in modo che le indagini e l’accertamento delle responsabilità proseguano e si arrivi alla giustizia […]».

Amnesty International chiede una riforma del massimo organo decisionale delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza, in modo che possa essere la voce degli stati e delle situazioni tradizionalmente ignorate, soprattutto nel Sud globale.

Il Rapporto completo non dimentica nessuno. Qui abbiamo pubblicato brevi estratti delle analisi contenute nel corposo volume.