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Il cambiamento degli oceani

L’8 giugno cade la Giornata Mondiale Degli Oceani, il cui intento non è soltanto quello di celebrare questi ampi spazi del pianeta ma, soprattutto, di sensibilizzare alla loro cura e protezione. Lo si nota fin dal sito ufficiale di questo appuntamento, che presenta l’invito a prendere parte all’azione per rendere protetto il 30% degli oceani (ma anche delle terre emerse) entro il 2030. Un obiettivo ben lontano dall’essere raggiunto, visto che le cifre attuali si muovono intorno al 7% di acque protette, se non meno.

Ma, purtroppo, per difendere gli oceani non basta limitare le attività umane a diretto contatto con l’acqua. Il pericolo maggiore è quello che minaccia la vita anche sulla terraferma: il cambiamento climatico. Lo sottolinea proprio il comunicato pubblicato sul sito di notizie delle Nazioni Unite in occasione della ricorrenza. Sono tre, soprattutto, i modi con cui questo fenomeno impatta mari e oceani.

Quello più ovvio, ma non per questo meno preoccupante, è l’innalzamento del livello dell’acqua. Si stima che tra il 2013 e il 2021 il livello medio sia salito di 4,5 millimetri all’anno. Può sembrare una cifra irrisoria, ma si tratta chiaramente di una media, distribuita su una superficie immensa. Mari così alti portano cicloni tropicali più intensi, mareggiate mortali e rischi per le coste, come inondazioni, erosioni e smottamenti, che stanno diventando molto più frequenti.

Ci sono poi le ondate di caldo, che non interessano soltanto i continenti emersi. Negli ultimi anni sono raddoppiate in frequenza e sono diventate più durature. L’effetto più evidente è lo scolorimento e infine il degrado definitivo delle barriere coralline, strutture fondamentali per la biodiversità acquatica.

Proprio la perdita di biodiversità è la terza grave conseguenza del cambiamento climatico per gli oceani. Non sono interessati solo le barriere coralline: la variazione delle temperature porta gli animali a migrare, accelerando la diffusione delle specie aliene, ovvero gli esseri viventi che vengono introdotti presso ecosistemi nei quali non sarebbero previsti, col rischio di scombussolarli e danneggiarli. Su questa tendenza si sofferma anche un recente articolo, frutto di una ricerca che cerca proprio di calcolare il ritmo delle migrazioni delle specie marine. Intanto, si spiegano in maniera più dettagliata le connessioni tra il cambiamento climatico e questi spostamenti: non solo temperature più alte, ma anche variazioni della salinità, della chimica, del contenuto di ghiaccio e delle condizioni meteorologiche. Tutti fattori che porteranno un numero sempre maggiore di specie a migrare altrove, favorendo incontri potenzialmente dannosi con altri esseri viventi. Questo non riguarderà soltanto chi abita sotto al livello dell’acqua, ma anche le centinaia di milioni di persone che dipendono dalla pesca per sopravvivere.

Ci sono, purtroppo, anche altri aspetti da considerare. Ad esempio, le variazioni delle correnti oceaniche. Il cambiamento climatico sta rallentando alcuni di questi fondamentali fenomeni, come quello che trasporta acqua dall’Equatore verso il Nord Atlantico. Secondo una recente analisi, se questa corrente dovesse fermarsi del tutto, una delle conseguenze potrebbe essere la trasformazione de La Niña in un fenomeno perenne, al contrario di com’è ora, ovvero in alternanza con El Niño. La differenza non si farà notare soltanto sott’acqua, ma anche sulla terraferma, poiché, se le previsioni si riveleranno azzeccate, ci saranno maggiori e più intense inondazioni in Australia e ulteriori incendi boschivi in Nordamerica.

Questi sono solo alcune storie isolate, ma bastano per rendere evidente un concetto: per proteggere gli oceani, bisogna lavorare sulle terre emerse, senza perdere tempo.