istock-821472326

In Svizzera molto presto una penuria pastorale?

In meno di dieci anni, quasi la metà dei pastori e delle pastore della Svizzera francese sarà andata in pensione. Anche se esistono delle soluzioni, in particolare grazie all’impegno dei laici, le chiese riformate stanno affrontando una crisi di successione, poiché la scomparsa della figura pastorale non è stata senza effetti sulla società. Lo racconta in un ampio articolo il giornale elevetico Réformés.

«Nel 2029, il 47% dei pastori e delle pastore della Svizzera francese sarà andato in pensione», avverte Didier Halter, direttore dell’Ufficio Protestante della Formazione (Opf). «Un po’ meno di dieci persone entrano nella Opf per compiere la loro formazione ogni anno», spiega. Questa cifra è stabile, ma tra dieci anni, secondo questa proiezione, mancheranno 65 persone, cioè il 18%, sui 354 posti ministeriali della Svizzera francese.  Questo squilibrio si fa già sentire: «Il tempo necessario per coprire un posto pastorale è aumentato e può durare fino a un anno».

Frédéric Amsler, vice-decano della facoltà di teologia e studi religiosi all’Università di Losanna, nota anche «una mancanza di nuove forze», causata dalla secolarizzazione della società.

Non sorprende che anche il sociologo della religione Jörg Stolz colleghi questa tendenza alla «mancanza di fede» dell’epoca. Da parte sua, Jean-Baptiste Lipp, presidente della Conferenza delle Chiese riformate di lingua francese (Conférence des Églises réformées romandes), e incaricato di condurre una riflessione sul tema per la Chiesa evangelica riformata del Cantone di Vaud (Eerv), sottolinea la difficoltà che hanno oggi i giovani ad assumere il «peso simbolico» richiesto dalla posizione. 

Secondo Didier Halter, la situazione non è destinata a migliorare da sola: «Crescere in una famiglia con una pratica religiosa attiva è statisticamente ciò che più spesso spinge le persone a rivolgersi a una professione di chiesa. Il numero di vocazioni continuerà a diminuire a causa della disaffezione dei credenti».

Un altro motivo, più concreto, è la lunghezza del corso di studi, nota Jean-Baptiste Lipp: «Cinque anni di teologia, diciotto mesi all’Opf, un anno di stage, un anno di prova e la commissione di consacrazione… Quasi dieci anni per formare un pastore: è davvero ragionevole?».

Ma in un momento in cui le chiese si svuotano, ha senso preoccuparsi di questa mancanza di giovani? si chiede Lucas Vuilleumier, il giornalista di Réformés, autore di questa inchiesta. «Questa tendenza non è meno deplorevole», risponde Jörg Stolz, «perché questa funzione è sia intellettuale che sociale».

In effetti, a lungo termine, la scomparsa dei pastori, mentre è problematica per i credenti, è anche vista da alcuni come un rischio per la società nel suo insieme. «I pastori sono persone rispettate che devono rimanere interlocutori del mondo secolarizzato», dice Rita Famos, presidente della Chiesa Evangelica Riformata Svizzera (Eers), che ricorda i molteplici ruoli dei ministri nella vita sociale (ospedali, prigioni, centri d’asilo, funerali, matrimoni e molto molto altro). «Senza il pastore, c’è un vuoto sociale. Inoltre, assicura la riconoscibilità dell’istituzione, di cui è un portavoce riconosciuto», aggiunge Jean-Baptiste Lipp.

Frédéric Amsler avverte anche un altro pericolo: «Le chiese vogliono continuare a fornire gli stessi servizi, ma con meno personale, invece di fare vere scelte». Questo significa «chiudere le chiese». In passato, quattro pastori condividevano una comunità, ma ora c’è un solo pastore, che è anche responsabile di altre chiese locali. Questo porta spesso al burn-out, anche tra i giovani ministri», deplora Frédéric Amsler. Un problema ricorrente di superlavoro che inevitabilmente rende la professione sempre meno attraente.

La salvezza potrebbe venire dai diaconi? «Nel cantone di Vaud, è difficile distinguere le funzioni di un pastore e di un diacono», dice Frédéric Amsler. Sempre di più, le chiese contano anche sull’impegno dei laici e delle laiche che, secondo Rita Famos, dovrebbero essere «incoraggiati ed incoraggiate ad assumere compiti pastorali, compresa la predicazione». Tuttavia, la presidente specifica: «Serve formazione, motivazione, ingredienti non sempre semplici da riscontrare sul lungo periodo».