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Porrajmos una tragedia iniziata il 16 dicembre del 1942

Il 16 dicembre 1942, Heinrich Himmler ordina la deportazione di rom e sinti che vivono in Germania nel campo di sterminio di Auschwitz. Ha così inizio «la soluzione finale». Saranno uccise circa 600 mila persone della popolazione romanì durante il nazismo.

Ha così inizio il Porrajmos. 

Porrajmos è il termine corretto per definire il genocidio della popolazione romanì scientificamente programmato per distruggere l’intero popolo, la sua cultura e la sua lingua. Della «grande morte» dei rom però si era persa una memoria che lentamente riaffiora. Ancora oggi, purtroppo, la popolazione romanì «Una tra le minoranze più grandi del Vecchio Continente è continuamente oggetto di pregiudizi e di discriminazioni». Ricordare è importante «come lo è restituire a rom e sinti la propria identità di popolo, al di là di ogni stereotipo. Ci sono diversi modi per definire la nostra tragedia», ricorda a Riforma.it Dijana Pavolovic, attrice e intellettuale e oggi presidente del movimento Kethane – Rom e sinti per l’Italia (già testimonial della Campagna otto per mille valdese «Ferite a volte uccise» del 2013 e dedicata a contrastare la violenza sulle donne).

«Porrajmos – proesue Pavolic – significa “divoramento”. Un altro termine che la popolazione romanì utilizza è: Samurdaripen – “il grande genocidio”. Nessun rom fu chiamato a Norimberga per denunciare e accusare i propri carnefici».

Lo sterminio nazi-fascista è «Memoria del crimine più inumano che l’essere umano abbia mai perpetrato nella sua storia. Annientare l’altro perché di una “razza” diversa e perciò inferiore. Lager nazisti e campi d’internamento fascisti unirono il popolo ebreo e romanì in un tragico destino: il genocidio che doveva portare alla purificazione della “razza superiore” eliminando le “razze” impure, l’ebrea e la “zingara”», ricorda sul suo sito l’Associazione Kethane.

Con il termine Porrajmos, ricorda anche il professor Santino (Alexian) Spinelli (linguista, musicista e musicologo, e già docente di Lingua e Cultura Romanì presso l’Università degli Studi di Trieste) «ci si riferisce alle persecuzioni inflitte alle popolazioni romanì durante la Seconda guerra mondiale. Una tragedia dimenticata, inflitta a rom, sinti manouches, kalé e romanichals e fatta di deportazioni in campi di sterminio, persecuzioni, violenze, un vero genocidio», ribadisce Spinelli.

Un sito internet conserva la memoria di quella tragedia e questa volta tutta italiana, avvenuta per mano fascista, attraverso la pubblicazione di video di testimonianze dirette dei sopravvissuti e di discendenti, dati e immagini.

«Dagli Anni Venti – si legge sul sito www.porrajmos.it , risultato del progetto Memors che  ha dato vita al primo museo virtuale del Porrajmos in Italia – la politica fascista si è progressivamente radicalizzata delineando quattro periodi di riferimento: 1922-1938 con i respingimenti e l’allontanamento forzato di rom e sinti stranieri (o presunti tali) dal territorio italiano; 1938-1940 con gli ordini di pulizia etnica ai danni di tutti i sinti e rom presenti nelle regioni di confine ed il loro confino in Sardegna; 1940-1943 con l’ordine di arresto di tutti i rom e sinti (di cittadinanza straniera o italiana) e la creazione di specifici campi di concentramento fascisti a loro riservati sul territorio italiano; 1943-1945 con l’arresto di sinti e rom (di cittadinanza straniera o italiana) da parte della Repubblica Sociale Italiana e la deportazione verso i campi di concentramento nazisti».