Camelia, un’altra storia di ordinaria follia tutta italiana

Da nove mesi rinchiusa nel Cpr di Ponte Galeria una donna con difficoltà mentali. La Corte europea per i diritti umani ordina all’Italia di liberarla

 

La Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha censurato (nel senso di aver giudicato con estrema severità e biasimato) il Governo italiano per il trattenimento presso un Centro di Permanenza per i Rimpatri di una donna con evidenti problemi di salute mentale, ordinandone il trasferimento in un luogo idoneo alla cura.

 

La storia è quella di Camelia, detenuta e sostanzialmente abbandonata a se stessa per nove mesi nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Roma, Ponte Galeria.

 

«Nonostante la sua evidente incompatibilità alla vita in comunità ristretta – si legge sul sito del Garante dei detenuti del Lazio –, la Questura ha continuato a richiedere proroghe del suo trattenimento convalidate dal giudice di pace, lasciando la donna detenuta – da ottobre 2023 – in una cella di isolamento. Una logica manicomiale condannata dai giudici di Strasburgo.

 

Infatti, grazie all’intervento delle onorevoli Rachele Scarpa ed Eleonora Evi, è stato presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti umani, che ha ora ordinato al Governo italiano di liberarla e di provvedere alle adeguate cure. La detenzione di una persona con problemi di salute mentale in un Cpr è contraria al divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti.

 

Il caso è stato seguito dalle avvocate Daria Sartori e Federica Borlizzi e dall’avvocato Gennaro Santoro, insieme alla dottoressa Muriel Vicquery, con il supporto della Rule 39 Pro Bono Initiative, della dottoressa Monica Serrano e dei medici Antonello D’Elia e Nicola Cocco.

 

I promotori del ricorso alla Cedu sottolineano che la vicenda di Camelia non sia isolato e che nei Cpr la violazione dei diritti umani è sistematica. In particolare, le criticità per la salute mentale delle persone detenute sono state evidenziate anche per altri Cpr, come quelli di Milano e Macomer. Tra le problematiche denunciate vi sono l’uso massiccio di psicofarmaci, il mancato accesso al diritto alla salute, la gestione dei servizi di cura affidata a privati, la normalizzazione della violenza e dell’abbandono e l’inadeguatezza di presa in carico delle problematiche di salute, in particolare delle condizioni psichiatriche, con la pericolosa adozione di pratiche manicomiali.

 

I promotori chiedono il superamento dei Cpr e della detenzione amministrativa, ritenuti istituti di degrado, sofferenza e abbandono, dove persone non colpevoli di reati sono private della libertà. Viene ancora utilizzata la psichiatria come strumento di controllo anche per persone senza problemi di salute mentale, mediante un uso spropositato di farmaci, mentre coloro che soffrono realmente di disturbi psichiatrici vengono abbandonati.

 

Inoltre, come testimoniato dall’ispezione effettuata lo scorso 18 giugno dall’onorevole Scarpa con Monica Serrano e Federica Borlizzi, le generali condizioni di detenzione nel Cpr di Ponte Galeria sono del tutto inumane: in celle di pernotto di 24 mq dormono, per terra, su materassi di gommapiuma fino a 8 persone; vi sono quotidiani atti di autolesionismo e tentativi suicidari, derubricati come “non credibili” dal personale sanitario dipendente dall’ente gestore.

 

“Il trasferimento di Camelia rappresenta un precedente importante – dichiara l’on. Scarpa – che fa ben sperare sulla concreta possibilità di aiutare degli esseri umani ad uscire dall’inferno dei CPR, vere e proprie carceri in cui si entra senza colpe e non si sa quando, e se, si uscirà. È importante far riferimento a strumenti di tutela dei diritti umani come la CEDU, aiutano a rendere ancora più palese la stratificazione di politiche migratorie sbagliate nel nostro Paese, spesso in malafede: per questo una richiesta della Corte come quella di oggi deve sollecitare un cambio radicale del sistema di accoglienza ed un superamento del sistema detentivo nei CPR, che eviti al nostro Paese di restare nell’abisso in cui, per qualcuno, i diritti umani non vengono riconosciuti e tutelati“.

 

La decisione della Corte dimostra che in questi Centri vengono violati i diritti fondamentali e la dignità umana, trasformandoli sempre più in “discariche sociali” per emarginati e indesiderati».