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Gaza. Assistenza sanitaria senza discriminazioni per i palestinesi

La Federazione luterana mondiale (Flm) lancia nuovamente l’allarme sulla difficile situazione sanitaria dei palestinesi che vivono nella striscia di Gaza. Insieme all’Associazione delle agenzie di sviluppo internazionale (Aida), la Flm ha rilasciato una dichiarazione all’inizio di settembre, invitando le autorità locali a porre fine a tutte le «misure punitive collettive» contro la popolazione civile della Striscia di Gaza, a ripristinare il meccanismo di coordinamento sanitario che consenta a pazienti in condizioni critiche di accedere alle cure al di fuori della Striscia, e a rafforzare la fornitura di materiali sanitari agli ospedali di Gaza.

Il 19 maggio, l’autorità palestinese ha interrotto ogni collaborazione con le autorità del governo israeliano, quando Israele ha annunciato i suoi piani per annettere unilateralmente Gaza e parti della Cisgiordania.

L’interruzione del coordinamento tra i due organi governativi ha avuto un impatto diretto sul sistema di riferimento sanitario a cui gli abitanti di Gaza fanno affidamento per le cure mediche salvavita che non sono disponibili a Gaza, come l’oncologia e la chirurgia complessa. Tre persone, tra cui due neonati, sono morte perché non sono state autorizzate a viaggiare per cure mediche in tempo.

La Flm, che gestisce l’Augusta Victoria Hospital di Gerusalemme Est, ha più volte fatto sensibilizzazione sulla situazione soprattutto dei minori bisognosi di cure. L’ospedale Augusta Victoria offre cure specialistiche in nefrologia e oncologia infantile, compresa la radioterapia, che non è disponibile a Gaza.

«Ricevere un permesso medico per uscire dalla Striscia di Gaza e accedere all’assistenza sanitaria presso l’Augusta Victoria Hospital, sembra quasi impossibile alla luce degli eventi in corso», ha affermato Sieglinde Weinbrenner, rappresentante della Flm a Gerusalemme.

Il motivo è duplice: da un lato, l’autorità palestinese non facilita più le richieste di autorizzazione. Un’organizzazione non governativa, Physicians for Human Rights, ha assunto quel ruolo, ma con molte meno risorse. In secondo luogo, il numero di richieste approvate si è drasticamente ridotto. Negli ultimi due mesi è stato concesso solo il 30% circa dei permessi richiesti. Mentre l’anno scorso, il tasso di approvazione è stato del 73%. Secondo i rapporti dell’OMS, nel gennaio 2020 ben 1.641 pazienti a Gaza sono stati in grado di lasciare la Striscia per cure mediche esterne. A giugno, solo 119 hanno ricevuto il permesso: un’allarmante riduzione del 93%.

Aida – che rappresenta 84 organizzazioni umanitarie e di sviluppo che operano nel territorio palestinese occupato e in Israele, come: Action Against Hunger, World Vision, Oxfam, Save the Children e Amnesty International – ha anche esortato le autorità locali a cooperare al fine di prevenire la diffusione di Covid-19 a Gaza, e ha esortato la comunità internazionale ad affermare pubblicamente «che la risposta a Covid-19 deve essere basata sul diritto internazionale dei diritti umani e sull’uguaglianza di accesso al servizio sanitario».

Gaza è stata sotto stretta sorveglianza da quando i primi casi di Covid-19 sono stati registrati a luglio. L’Organizzazione mondiale della sanità ha riferito che gli ospedali di Gaza, che servono una popolazione di due milioni di abitanti, hanno attualmente una capacità di soli 350 pazienti con Covid-19.

«Sebbene sia stata trovata una soluzione temporanea, l’attuale politica del governo israeliano di limitare la circolazione dei pazienti deve essere rivista», ha dichiarato Weinbrenner. «È necessario garantire ai pazienti il diritto alla salute secondo i diritti umani e il diritto internazionale umanitario».

 

Photo: LWF/Albin Hillert