Colonialismo, missioni, risarcimenti: le chiese africane riflettono

Un seminario in Kenia ha analizzato eredità culturali europee ancora presenti nel Continente e ragionato sulle prospettive per un Cristianesimo “africano”

 

A inizio giugno si è tenuta a Nairobi, in Kenya, una consultazione sul tema: “Prospettive africane sulla decolonizzazione e sui dibattiti sui risarcimenti nel cristianesimo globale“, presso il Centro Conferenze Desmond Tutu.

I primi due giorni si sono concentrati sulla decolonizzazione. Il pastore  Fidon Mwombeki, Segretario Generale dell’Aacc, la Conferenza di chiese cristiane di tutta l’Africa, ha aperto l’incontro delineando gli obiettivi della consultazione: «i missionari erano spesso diversi dai coloni e sceglievano di vivere tra le comunità rurali, dove imparavano i dialetti locali e traducevano la Bibbia per l’uso da parte della popolazione locale. Purtroppo non sono però mancate tristi vicende di complicità con i poteri oppressivi».

Mwombeki ha etichettato come problematico il pensiero che dunque il cristianesimo fosse un prodotto culturale europeo, che non avrebbe mai dovuto essere “esportato” in Africa.«È anche vero che gli africani erano le più grandi agenzie di evangelizzazione, e le chiese sono cresciute e continuano a crescere oggi più velocemente che sotto la guida dei missionari», ha detto.

 

Diverse presentazioni hanno poi esplorato i legami tra missione cristiana e colonialismo, la partecipazione delle chiese africane ai sistemi coloniali e neocoloniali e gli approcci teologici alla decolonizzazione. I relatori hanno sostenuto una rilettura critica della storia coloniale da parte delle chiese africane, radicata nelle realtà continentali, esaminando al contempo la necessità di decolonizzare le pratiche ecclesiali, la teologia e persino l’immagine di Cristo.

 

La pastora Helen Ishola-Esan, presidente del Seminario Teologico Battista di Eku in Nigeria, ha affermato che nonostante l’evangelizzazione dell’Africa, le chiese missionarie sono diventate anche veicoli di colonizzazione culturale. Quindi, secondo l’accademica, l’agenda di decolonizzazione delle chiese africane deve prevedere una ricostruzione del cristianesimo attraverso le lenti africane: «La decolonizzazione in questo senso incoraggia i teologi africani e i leader della chiesa ad attingere alle filosofie, ai proverbi, alle tradizioni orali e ai valori comunitari africani per plasmare la dottrina e la prassi».

 

Per il professor Faustin Leonard Mahali, vice cancelliere della Tumaini University Makumira, un’istituzione della Chiesa evangelica luterana in Tanzania, la teologia decolonizzante dell’Africa dovrebbe comportare la riscoperta delle risorse locali e degli stili di vita che potrebbero migliorare il benessere delle persone per porre fine all’eccessiva dipendenza dagli stili di vita e dalle eredità occidentali o cinesi: «Propongo un ritorno alla reinterpretazione della nostra teologia della liberazione africana, che smaschera l’eredità dei comportamenti coloniali tra la nostra gente mentre abbraccia i nostri valori culturali africani di dignità umana (ubuntu), duro lavoro, comunità, protezione ambientale, ospitalità, felicità, spiritualità e pratiche di guarigione contro le minacce al nostro benessere» ha detto.

Tuttavia, Ishola-Esan ha sottolineato che tali prospettive hanno affrontato una resistenza significativa all’interno delle chiese africane, poiché esse sono ancora dottrinalmente e finanziariamente dipendenti dalle denominazioni occidentali e dalle agenzie di missione: «Questo crea un’inerzia teologica e istituzionale che scoraggia l’innovazione. Inoltre, alcuni cristiani africani temono che la decolonizzazione possa portare al sincretismo o a una diluizione della fede cristiana “pura”. Ciò è in parte dovuto ai precedenti insegnamenti missionari che diffamavano la cultura africana».

 

L’ultimo giorno si è concentrato sulle riparazioni, i risarcimenti per gli eredi delle vittime del colonialismo. Le presentazioni hanno definito il concetto e ne hanno evidenziato l’importanza per i popoli africani di fronte a ingiustizie storiche come la schiavitù, il colonialismo e l’apartheid. Sono stati discussi il ruolo delle chiese nella giustizia riparativa, la restituzione dei beni culturali e l’appello profetico al perdono, alla riconciliazione e alla giustizia. È stato esaminato il legame tra missione, colonialismo e riparazioni, sollecitando una riflessione teologica sulle responsabilità delle chiese. I relatori hanno anche sottolineato gli sforzi dell’Unione Africana su queste questioni.

Affrontando il tema dei risarcimenti, il dottor Gorden Simago, direttore dell’African Union Office and Advocacy,della Conferenza di chiese cristiane di tutta l’Africa, ha affermato che la richiesta di risarcimenti non è più una questione marginale: «Sono al centro delle conversazioni sulla giustizia globale in questo momento, e mi chiedo se questo è ciò che i teologi chiamano il momento di Kairos”. Penso che le riparazioni vadano oltre le richieste finanziarie e al centro c’è questo dire la verità e ripristinare la dignità. Affrontare le ingiustizie sistemiche è molto importante».

 

Al termine di ogni giornata, i partecipanti sono stati divisi in gruppi per ulteriori discussioni, con feedback forniti in plenaria. Al termine, è stato chiesto loro di presentare un documento entro il 1° luglio 2025 per formulare raccomandazioni per il Consiglio Ecumenico delle Chiese e l’Unione Africana. La consultazione si è svolta in un clima di pace e impegno, a conferma dell’impegno delle Chiese nella difesa della dignità e dei diritti dei popoli africani.