Un segno di diversità da portare con speranza

Un romanzo del 2010, un film in lavorazione, elementi per ragionare anche sull’attualità

Ho riletto La vita accanto (Einaudi) di Mariapia Veladiano perché sta per uscire in Italia il film liberamente tratto dal romanzo che fu vincitore del Premio Calvino nel 2010 e che nel 2011 entrò nella cinquina dei finalisti dello Strega. Ambientato a Vicenza, le riprese sono iniziate in estate e c’è attesa per questo film scritto da Marco Bellocchio e Gloria Malatesta, con la regia di Marco Tullio Giordana. È stato svelato anche il cast: Paolo Pierobon, Sonia Bergamasco, Valentina Bellè, Michela Cescon e la debuttante Beatrice Barison.

Rebecca – nome biblico – racconta fin dall’incipit quanto sia difficile portare un segno di diversità, di non conformità, che sia la bruttezza o la deformità o difformità, o ancora una disabilità che rende “anormali”, eppure c’è nel nome una promessa e una promessa di vita in abbondanza, nonostante tutte le difficoltà. Alla fine, la bellezza trionfa nelle relazioni che si sanno accogliere reciprocamente. Questo è l’arco su cui si snoda la vicenda, con un affresco di un’Italia di provincia e di un mondo cattolico e contadino, chiuso ed endogamico, di cui forse non si ha più memoria, ma che è ancora presente nella mentalità quando si parla di “tara ereditaria”.

Nel libro a un certo punto Rebecca afferma: «adesso so che è una tara piccola, minuscola. Che lascia intatta la mente, il viso, la bellezza, la vita. Ma se ne sussurrava come di una tragedia». Questo è un primo grande tema che il libro affronta, da un’angolatura particolare, quella della scrittrice-insegnante-teologa. Impegnata nel dibattito pubblico sui temi della scuola e delle biblioteche scolastiche come luoghi in cui si impara ad amare i libri e a coltivare passioni, l’autrice considera che il riscatto possa arrivare scoprendo la musica, pur nella cornice di vite famigliari complesse e problematiche, spesso però percepite come apparentemente normali e benestanti. Leggendo i romanzi di Veladiano, grande conoscitrice del pensiero di Bonhoeffer, mi è spesso tornata in mente una frase di Lutero che più o meno recita così «Non siamo amati perché siamo belli, ma siamo belli perché siamo amati». La bellezza come riflesso dell’amore incondizionato, che fa fiorire e crescere una persona, aldilà delle apparenze.

Il romanzo è ambientato negli anni Ottanta ed è la storia di una bambina ingabbiata dentro un corpo brutto. Rebecca è sempre in punta di piedi, teme di disturbare in ogni cosa che fa, sperimenta il rifiuto della madre depressa, l’assenza di un padre che non sa proteggerla e nella prima parte del racconto vediamo quanto il male possa insidiarsi nelle famiglie e quanto il dolore possa essere il solo motore dell’esistenza. 

A un certo punto la svolta, la bambina ormai cresciuta incontra altre figure di riferimento come Maddalena, la babysitter, «che la amò da subito e rimase come presenza affettiva». L’anziana signora De Lellis, da anni isolata in casa, da affermata pianista riesce a vedere il suo talento, e nell’incontro intergenerazionale di due solitudini, si disvela il futuro: Rebecca impara a suonare il piano. Altri personaggi popolano questo romanzo avvincente nella consapevolezza che «non sempre si riesce a costruire insieme quello che manca», ma che l’affetto perduto può essere ritrovato anni dopo in un diario, tenuto segreto per la vergogna, ancora pieno del profumo materno. 

Nella motivazione alla candidatura allo Strega si leggeva: «La vita accanto racconta la nostra inettitudine alla vita, da cui solo le passioni possono riscattarci. Con una scrittura limpida e colta. Con personaggi buffi e veri, memorabili. Con la sapiente levità di una favola». Il trauma nel racconto è solo accennato, perché – come spesso sottolinea l’autrice – ciò che conta è quello che viene dopo, come si sopravvive e come si costruiscono nuove relazioni di amicizia e fraternità. Famiglie queer, si potrebbe dire, o semplicemente relazioni amicali e comunitarie che consentono di prendersi cura gli uni degli altri. Abituata a crescere «in punta di piedi, sul ciglio estremo del mondo», Rebecca scoprirà come ripartire da capo. Quante volte si può ricominciare? Il romanzo è un messaggio evangelico: «c’è una vita nuova dietro a ogni angolo, si cambia sempre, non è mai finita».