Relazioni radicanti
Il convegno sull’ecclesiologia battista tenutosi nel fine settimana a Ciampino ha riflettuto apertamente su quale chiesa essere, su come rispondere alle sfide dei tempi, su come ritrovare l’entusiasmo
Si è svolto nel fine settimana il convegno sull’Ecclesiologia battista che ha riunito rappresentanti delle chiese battiste di tutta Italia. Qui di seguito il racconto della nostra inviata, Sara Emmanuela Tourn.
Già a metà del convegno pensavo che “relazioni” potesse esserne la parola chiave, per fare da filo conduttore al mio articolo. Questa idea aveva avuto una prima conferma con l’intervento della pastora Anna Maffei, nel dibattito seguito all’intervento storico di Martin Ibarra, sui 40 anni dal precedente convegno ecclesiologico battista. Maffei ha osservato, dal suo punto di osservazione di ex presidente del Comitato esecutivo Ucebi, che «tutte le cose buone successe in questi quarant’anni hanno a che fare con la relazionalità (pastorato femminile, collaborazione con le chiese metodiste e valdesi, “chiese etniche”, ecumenismo, contrasto al patriarcalismo, accoglienza delle persone lgbtqi, nuovi ministeri, progetto Zimbabwe, campo VariEtà…): sono nate dalla relazionalità, con altre chiese e realtà, che a loro volta hanno portato nuove relazioni».
Lo stesso “Piano di cooperazione”, unico nel panorama delle Unioni battiste, da non ridurre a mero strumento finanziario, è una delle eredità del convegno del 1983 (insieme alla Confessione di fede e al Patto costitutivo), ed è frutto e allo stesso tempo radice di relazioni, così come lo è l’otto per mille, entrambi citati nell’introduzione al convegno dal presidente Ucebi Giovanni Arcidiacono.
Alla luce di quanto avvenuto in questi decenni, è stato poi ribadito da Maffei e non solo, «dovremmo avere il coraggio di fare dei passi avanti nella direzione che lo Spirito ci ha indicato in questi anni, anche rispetto al battesimo e alle vocazioni di nuovi ministeri».
L’idea che la relazionalità fosse il punto focale di questo incontro, che ha avuto 140 iscritti provenienti da tutta Italia, ha trovato conferma nella giornata seguente, con i lavori di gruppo, e nelle parole del pastore Dario Monaco, un altro dei tre relatori del venerdì, nella restituzione finale, che ha ritenuto relazione e cura due parole chiave di questi giorni, chiedendo poi quali fossero le parole di 40 anni fa: se erano diverse, ha interrogato provocatoriamente, voleva forse dire che non aveva a cuore la relazione?
La risposta è ovviamente “no”, ma evidenzia un altro tema che ha percorso questi tre giorni: la necessità di trovare parole, linguaggi (non solo verbali) nuovi che esprimano meglio ciò che le nostre chiese vogliono dire al mondo (come spiegare, per esempio, “peccato”, “grazia”, “salvezza”?) considerando che oggi “il mondo” è anche il web.
Le “relazioni pericolose” con il web sono state in effetti, oltre al tema della relazione del pastore Monaco, l’oggetto di uno dei lavori di gruppo, che ha visto la partecipazione di un bel gruppo di adolescenti arrivato nella giornata di sabato, gli altri hanno preso parte al gruppo su “quale chiesa vogliamo essere”, altra occasione in cui il tema delle relazioni è stato centrale, soprattutto nella concezione di “chiesa come spazio di relazione tra diversità tra i singoli”
La presenza degli adolescenti ai lavori e alla serata musicale di sabato ci ha ricordato l’importanza di pensare alle generazioni più giovani e, come qualcuno ha notato, poco o nulla si è parlato, per esempio, di bambini.
Le relazioni costruiscono nuove “radici” per il futuro, rafforzano l’albero, per usare un’altra immagine ritornata più volte nel convegno (così come quella del “corpo” dalle molte membra, un corpo che appare indebolito ma forse si è solo trasformato, ha perso i suoi “confini” tradizionali), a partire da un’idea di Elizabeth Green che, nella sua applauditissima lezione ha parlato del “tronco di Iesse”: «un ceppo apparentemente morto, che può al suo interno nascondere vita, fornire nutrimento a chi è vicino. Come per le piante la collaborazione è più forte della competizione, così deve essere anche per le nostre chiese!». Rievocando l’immagine della rete sotterranea, vitale, che collega gli alberi, funghi, batteri, l’ha paragonata alla rete che include anche le collaborazioni ecumeniche e con realtà sociali, dicendo poi, in un altro momento del convegno, che bisognerebbe “giocarsela” proprio sull’immagine della relazionalità (più comprensibile oggi di quella di “patto”, concetto chiave dell’ecclesiologia battista).
Parlando di radici, il pensiero va (quasi) subito alla storia: come ha ricordato nel suo intervento pastore Martin Ibarra, «la storia non è il passato, non è sezionare un cadavere, ma riguarda la memoria vivente di un collettivo, il fiume profondo che nutre le nostre radici, intrecciato a tante altre radici. Non è un esercizio culturale di appassionati che hanno il pallino di ricostruire aneddoti e storie passate. Noi viviamo degli errori e delle cose buone fatte nel passato. Andiamo a scavare nelle memorie viventi per cercare da esse nutrimento».
Per tutto questo, si può dire che le relazioni, personali e fra chiese, al di là delle indubbie difficoltà e crisi, costituiscono a loro volta radici per il futuro, su cui poggiare saldamente e attraverso cui trasmettere la bellezza dell’annuncio dell’Evangelo.
A questo proposito, si è parlato molto di missione, di ministeri (Ibarra ha ricordato che in trent’anni il corpo pastorale battista si è dimezzato) ribadendo l’importanza della formazione.
Si è parlato di costruzione di uno spazio inter-generazionale e non di tante “bolle”: secondo l’efficace immagine utilizzata dalla pastora Francesca Litigio, la chiesa come «casa per le generazioni», auspicando l’esistenza, più che di un ministero giovanile, di un «ministero per l’intergenerazionalità». E inter-nazionale, non multiculturale ma interculturale, nell’ottica della costruzione di un “terzo spazio”, in cui le componenti si intrecciano definendo nuove identità, come ricordato dal pastore Nicola Laricchio, responsabile del Dipartimento chiese internazionali: è stata notata in questi giorni la significativa assenza delle chiese internazionali, che sono una componente rilevante, in diverse chiese maggioritaria.
Mettiamoci il coraggio, la gioia, l’entusiasmo e la passione, è stato detto più volte: le relazioni, nelle loro varie forme, richiedono impegno e pazienza, possono contenere dei rischi, ma sono un “pericolo” che va corso. A volte siamo anche troppo critici verso noi stessi: guardando “da fuori” questa assemblea, tutto si poteva pensare, meno che fosse una chiesa sfiduciata e spenta!
Come ha ricordato uno degli “osservatori” incaricati di dare una valutazione finale del convegno, il pastore valdese Daniele Bouchard, l’impressione è quella di una comunità fraterna e calorosa, con un forte senso comunitario e partecipativo e una grande capacità di ascolto e attenzione… elementi preziosi e tutt’altro che scontati nel mondo di oggi!
Un dossier speciale dedicato ai vari momenti del convegno sull’ecclesiologia battista, le relazioni introduttive, il lavoro nei gruppi, le due serate e le conclusioni, sarà pubblicato nel prossimo numero del settimanale Riforma.
Foto di Martina Caroli