Due fondamenti dell’impegno

Uomini e donne delle chiese evangeliche, dopo l’8 settembre 1943, si fecero parte attiva nella ricerca della libertà, anche in virtù di una consapevolezza maturata nella lettura della Bibbia: una storia che ci parla e ci mobilita

La visita del presidente Mattarella a Torre Pellice, il 31 agosto, ha simboleggiato e sancito l’incontro, che in determinate occasioni si manifesta più visibile, fra il “piccolo mondo” valdese e metodista e la collettività della nostra Repubblica, articolata anche nei suoi Enti locali, la Regione, il Comune che in questo caso è stato organizzatore e ha formulato l’invito insieme alla Tavola valdese.

Nella circostanza, e nelle parole udite nei vari momenti si è potuta cogliere la duplice sorgente dell’impegno che molti e molte evangelici ebbero nella vita civile e politica del nostro paese, per liberare l’Italia e per avviarla alla ricostruzione, e poi in vari momenti della storia più recente. 

Due erano e sono le fonti dell’impegno dei e delle credenti nella società: da un lato una presenza convinta e coinvolta nella realtà sociale, politica, lavorativa; e d’altro lato la robustezza di ogni singola persona, costruita in maniera importante sulla pratica della lettura biblica e sulla consapevolezza teologica. Di questa duplice ispirazione fu segno visibile l’ordine del giorno del Sinodo del 1943, che non fu messo in votazione e che è stato ricordato nella sessione di quest’anno: una confessione di peccato per non aver fatto tutto il possibile per proclamare «il messaggio di Cristo il Signore in tutte le sue implicazioni». 

Risuonavano in quelle parole la consapevolezza del ruolo dei cristiani, la dif- fidenza verso ogni presunzione millenaristica delle politiche umane, l’ampiezza dello sguardo. Il ricordo di quel Sinodo è stato la migliore introduzione alla visita del Presidente.

Che dire oggi? In che modi e in che misura siamo in grado di far collimare, o quanto meno di mettere in dialettica queste due polarità? Certo, il nostro paese non si trova in un dramma, come fu allora, con la guerra e con il governo allo sbando. Il nostro Paese vive meglio di allora, vede diminuire la violenza rispetto, per esempio, agli anni ’70 del ’900 (con le eccezioni, tremende, dei crimini contro le donne e dei comportamenti violenti messi in atto senza scopo da ragazzi e ragazze sempre più giovani); ma allo stesso tempo, grazie alle tecnologie del mondo dell’informazione, ognuno e ognuna di noi viene a conoscenza di realtà drammatiche più o meno distanti: una guerra nel continente europeo, i tanti altri luoghi di conflitto nel mondo, l’evoluzione del cambiamento climatico, la necessità di migrare.

L’Italia è forse colpita meno di altri: anche durante la pandemia il Sistema sanitario pubblico, che da più parti viene trascurato a vantaggio di un “privato” spesso fuor di controllo e inaccessibile ai più deboli, ha in qualche modo “retto” (il Sinodo l’ha tenuto presente, grazie al documento della Diaconia e della Tavola valdese): ma siamo sempre nella precarietà. Motivi di inquietudine, dunque, ci sarebbero e ci sono. La lettura della Bibbia, portandoci a relativizzare ogni facile soluzione ideologica umana, serve anche a perfezionare la nostra capacità di discernere ciò che avviene nel mondo.

Ma intanto due aspetti del nostro vivere civile credo abbiano avuto risalto, nei giorni che sono andati dal Sinodo delle chiese metodiste e valdesi alla visita presidenziale:

1. L’assetto della nostra Repubblica è ancora solido, tiene: la forma dello Stato che i Costituenti hanno voluto darle ha tutto il suo senso, basato su un complesso sistema di equilibri, pesi e contrappesi; macchinoso, forse, ma garante del rispetto che ognuno deve avere per gli altri e le altre. Il Presidente rappresenta l’unità della nazione, non ha da essere il capo del governo.

2. Il sogno dell’Europa come lo ebbero Altiero Spinelli e Mario A. Rollier, al di là delle realizzazioni concrete che costituiscono l’Unione europea oggi, è il sogno di una unità da ricercare senza smettere mai; l’aspirazione a federarsi, a trovare obiettivi comuni verso cui tendere secondo modalità statuali magari differenti ma convergenti per il miglioramento delle condizioni di tutti e tutte (anche di chi europeo non è, e lo diventa sbarcando sulle coste dell’Europa). Federare, non s-federare. Vale anche per il rapporto fra le nostre Regioni.



Nella foto di Pietro Romeo, il Presidente Mattarella aTorre Pellice