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Lutero e la Santa Cena: perché la questione ci riguarda ancora

Il trattato eucaristico di Lutero del 1528* ci arriva da un altro mondo. Lo scontro con Zwingli sulla Cena del Signore è, per noi oggi, semplicemente incomprensibile: non solo nella cultura secolare, ma nella stessa chiesa. Altre, pare a noi, sono le priorità e le domande che la fede deve affrontare. Per non pochi aspetti (linguaggio, metodi di interpretazione biblica, comprensione di ciò che unisce e di ciò che divide) è effettivamente così. Tre questioni, tuttavia, sono centrali ieri come oggi, se solo si ha l’onestà intellettuale necessaria per affrontarle: a) Cristo è realmente presente nel mondo o si tratta solo di un modo di parlare pio? b) Nel primo caso: come mi devo immaginare tale presenza? c) Che succede se le mie categorie di pensiero si scoprono incapaci di esprimere l’evento?
Lutero e Zwingli, mediante le loro elucubrazioni per noi abbastanza astruse, discutono di questi temi. E Lutero è convinto che l’altro renda la vita troppo semplice a sé stesso e alla chiesa, interpretando la presenza di Cristo nel pane e nel vino in una forma che gli appare “ragionevole”. Dio però, secondo Lutero, è più grande della ragionevolezza di Zwingli e di chiunque altro. Nemmeno la sacrosanta battaglia contro il “papismo” (siamo, ricordiamolo, nel primo decennio della Riforma) giustifica sconti rispetto alla verità, anzi: «piuttosto che condividere con i fanatici soltanto vino [e soltanto pane; i “fanatici”, ovviamente, sono Zwingli e soci], preferisco accordarmi con il papa che ci sia soltanto sangue» (p. 377). Insomma, meglio la transustanziazione che la dottrina zwingliana. Il consenso appare impossibile. Bisogna dire che il partito zwingliano, e poi calviniano, è sempre stato meno refrattario a un accordo: il luteranesimo, complessivamente, si è mostrato più arcigno. Ora però che abbiamo smesso di scomunicarci, almeno tra luterani e riformati, dobbiamo evitare di banalizzare le passioni di un tempo: esse avevano a che fare con la fede.
Lo si vede bene nell’edizione del grande testo luterano del 1528 curata da Winfrid Pfannkuche (un pastore valdese radicato con cuore e competenza nella tradizione luterana: il più adatto alla bisogna!) per la collana «Opere Scelte di Lutero», diretta da Paolo Ricca e che ormai compie 35 anni. Il volume è perfettamente integrato negli standard della serie: traduzione accurata (con testo a fronte), note puntuali, ampia introduzione soprattutto storica, ma che non rinuncia ad aprire prospettive sull’oggi («Da Marburgo a Leuenberg», pp. 49-53). I nomi dei due luoghi evidenziano che, dopo lo scritto del 1528, la discussione è proseguita. A Marburgo, nel 1529, Lutero rifiuta definitivamente ogni possibilità di accordo sul punto controverso (ma presenza di Cristo nel pane e nel vino anche secondo la natura umana); sul Leuenberg, una collina non lontano da Basilea, viene siglato, nel 1973 (si fa presto a scomunicarsi, ma ritrovare la comunione sembra richiedere un certo tempo…) il documento teologico che sancisce la comunione ecclesiale tra luterani, riformati e in seguito anche metodisti.
Oggi discutiamo della possibilità di condividere la cena del Signore tra le diverse famiglie ecclesiali: romana, ortodossa e protestante. Se fosse per le chiese evangeliche, la questione sarebbe già risolta, da un pezzo anche. Poiché però dipende anche dagli altri, non si può escludere che occorrano altri cinquecento anni. Forse è legittimo sperare che giunga prima «il caro ultimo giorno», come Lutero amava chiamarlo.



1. M. LUTERO, La Cena di Cristo. Confessione (1528), a cura di W. Pfannkuche. Collana «Opere scelte, Lutero», n. 18. Torino, Claudiana, 2021, pp. 505, euro 39,00.