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Legni che diventano note

È in distribuzione in numero di dicembre del free press L’Eco delle valli valdesi, distribuito nel territorio del pinerolese (To). Il numero, dedicato alla musica, è leggibile anche da questo link.

Qui di seguito uno degli articoli del dossier. Buona lettura.

Pietro Bertot, liutaio, vive a Torre Pellice in una piccola frazione. Lontano, dunque, dalla città. Tuttavia la sua produzione artigianale di strumenti è richiesta e molti musicisti dal Piemonte e dall’Italia lo raggiungono o lo contattano per «portarsi a casa lo strumento dei sogni». 

– Qual è il cliente tipo che entra nella bottega artigianale del liutaio?

«Posso dire quali sono le persone che decidono di muoversi per venire da me, lontano dalla città. Direi che sono strumentisti che frequentano il Conservatorio di Torino a esempio: non solo, sono musicisti professionisti o semplici appassionati che desiderano avere tra le mani uno strumento unico, per fattura e suono». 

– Che cosa si cerca in uno strumento artigianale?

«Come già detto, la sua unicità. Inoltre, chi lo commissiona pretende che vi sia qualità nella scelta dei materiali utilizzati. Il legno soprattutto. Per fare qualche esempio, il legno scelto per la tavola è l’abete rosso della val di Fiemme; per il fondo, le fasce e il riccio, solitamente si utilizza l’acero dei Balcani, per le parti della montatura il bosso o l’ebano. Tra i clienti, poi, c’è chi chiede l’aggiunta di alcune modifiche particolari allo strumento; raramente, nel mio caso, chiedono riparazioni per eventuali danni. La ricerca di un suono bello, diverso dalla grande distribuzione, credo sia la molla che spinge un musicista ad avvicinarsi a un liutaio. Alcuni clienti poi arrivano da noi con le idee molto chiare, addirittura con i disegni del loro sogno – ossia il prototipo di uno strumento – che vorrebbero si realizzasse per loro».

– Qual è la sua specializzazione? 

«La realizzazione di strumenti ad arco: viole, violini, violoncelli, contrabbassi, viole d’amore (le dimensioni della viola d’amore sono simili a quelle della viola ma lo strumento ha sette corde e nella forma a spalle spioventi ricorda la viola da gamba, ndr), viole da gamba. Come dicevo, in passato mi è capitato di costruire strumenti sperimentali. Un compositore contemporaneo chiese una viola d’amore di dimensioni aumentate e con un’accordatura differente. Un musicista jazz voleva invece contrabbasso più piccolo per agevolare il trasporto per le sue tournée. In passato mi è stata chiesta una testa di cavallo al posto del riccio (ossia la parte decorativa dello strumento vicino ai piroli per l’accordatura, ndr). Scelta discutibile, ma il cliente ha sempre ragione (sorride)».

– Come ha iniziato la sua professione e chi le ha trasmesso questa passione?

«Galeotto fu un viaggio a Bra presso un noto negozio di strumenti musicali, dove lessi l’annuncio di un professionista che costruiva batterie. Bell’idea pensai, quella di costruire strumenti. Lo contattai dunque al telefono e mi disse “questo lavoro lo fanno in pochi e quei pochi che lo fanno non hanno voglia di insegnarlo”. Dunque, finita la nostra breve telefonata, venni a conoscenza dell’esistenza della Liuteria italiana, con le sue scuole principali a Gubbio, Cremona e Milano; un percorso che dava margini di lavoro e di professionalizzazione. Sono dunque partito alla volta di una delle loro scuole, a Parma, e ho seguito per due anni i corsi del maestro Desiderio Quercetani e poi mi sono diretto a Roma per circa tre anni, con il maestro Claude Lebet che mi ha introdotto in un mondo musicale di alto livello, permettendomi così di tenere e per la prima volta tra le mani strumenti inarrivabili, quali gli Stradivari».

– Qual è l’attesa per ricevere uno strumento realizzato da lei?

«Ho in lavorazione in questi giorni due violoncelli, un contrabbasso un violino e una viola. Dovrei chiudere in un anno tutto il lavoro. Per un violino è necessario solitamente un mese di lavoro, per un contrabbasso ne servono almeno tre».