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Nuovi modelli dell’abitare, la sfida di oggi

«La casa o la mancanza di casa, i nuovi modelli di abitazione, sono temi su cui la Diaconia valdese riflette da tempo» racconta Victoria Munsey, vice presidente della Csd Diaconia valdese, il braccio sociale della Chiesa valdese, durante l’incontro a Torre Pellice (To) dedicato alla presentazione dei “Quaderni della Diaconia”, pubblicazione quest’anno dedicata proprio alle “Nuove forme dell’abitare. Approcci innovativi di contrasto al disagio abitativo”. «Per questo – prosegue Musney – cerchiamo di interloquire con chi si occupa di queste tematiche, dalle amministrazioni pubbliche ad associazioni e enti che operano nei territori, nel tentativo di inventare modalità di fruizione dello spazio domestico capaci di rispondere alle nuove necessità che si presentano».

E’ toccato a tre assessori alle politiche sociali e abitative di tre grandi città aprire il dibattito. Sonia Schellino, assessora alle politiche sociali del comune di Torino, Gabriele Rabaiotti, assessore politiche sociali e abitative del Comune di Milano e Andrea Vannucci, Assessore Welfare e Sanità del Comune di Firenze hanno raccontato le situazioni, le criticità, le sfide dei rispettivi municipi, alle prese con la necessità di gestire una fetta sempre più ampia di popolazione in difficoltà economica.

Schellino ha ricordato la « tradizione di ragionamenti sui modelli abitativi di Torino con le prime esperienze di social housing che risalgono oramai a venti anni fa. Si tratta di coabitazioni rese necessarie da problematiche economiche o di integrazioni, ma spesso sono anche uno stile di vita, un modello “leggero” di casa che consente di contenere costi e condividere esperienze». Sono dunque anche i giovanissimi, magari nella fase di avvio al lavoro, a iniziare a prediligere l’opzione di abitazioni condivise. «Servono più spazi pensati per queste tipologie di coabitazione».

Rabaiotti ha insistito sulla necessità di «far incontrare tutti gli attori di questo comparto, l’edilizia pubblica, le proposte di affitto dei privati, con le esigenze della cittadinanza. Non è possibile vedere l’edilizia popolare che diventa residenza di famiglie per tutta la vita. Serve ricambio, serve aiutare queste persone a individuare dei percorsi capaci di aiutarle a uscire dallo stato di povertà permanente, consentendo anche in questo modo di avere un ricambio negli alloggi, mentre oggi la permanenza media nelle case popolari è di 42 anni. Servono affitti privati calmierati, aiutare l’incontro di domanda e offerta in un’ottica non solo di mero profitto».

Per Vannucci «il disagio abitativo in questi mesi ha subito aggravamento, Firenze ha forte tensione abitativa. La risposta storica che abbiamo sempre dato è quella dell’edilizia residenziale pubblica, un segmento che a mio modo di vedere non può che essere ampliato. Difficile trovare un equilibrio, abbiamo tentato di recuperare alloggi sfitti per ampliare l’offerta da fornire a chi si trova in difficoltà».

L’architetta Chiara Rizzica ha aggiunto quanto sia necessario «un welfare leggero, capace di interagire con queste nuove necessità e criticità, connesso all’abitare, alla cura delle persone, per creare un terreno cittadino attorno all’housing sociale, perché esso non rimanga uno spazio estraneo a ciò che lo circonda, ma ne sia parte integrante».

Nella seconda parte dell’incontro è toccato alle operatrici della Diaconia valdese analizzare da varie angolature le esperienze di housing sociale.

Loretta Malan, direttrice dei Servizi Inclusione della Diaconia Valdese ha rimarcato quanto si stia ampliando «quella fascia grigia di coloro che vivono al limite del grave disagio. Fin quando tutto funziona regolarmente coni salti mortali si fanno quadrare i conti, ma è sufficiente un imprevisto che tutto salta: una malattia, una spesa necessaria: è importante lavorare anche su questo segmento per non ampliare ancora di piùla fascia più bassa . In un momento come questo le preoccupazioni aumentano perché le risposte viste finora sono temporanee, non strutturali, non c’è un disegno politico che ci fa pensare a una ripartenza, a supporti stabili nel tempo. Desiderio grande che abbiamo è che i progetti che facciamo, importanti, si trasformino in servizi, strutturati, sostenibili, che nel corso del tempo possano dare riposte ai bisogni delle persone».

Paola Paschetto, responsabile del Servizio Adulti e Territorio della Diaconia Valdese Valli ha ricordato il crescere delle difficoltà in questo periodo: «In questi mesi abbiamo ricevuto gli appelli a stare tutti in casa, al sicuro, perché poi “andrà tutto bene”, ma chi la casa non ce l’ha perde la residenza e molti dei diritti di cui tutti noi beneficiamo e diventa invisibile, persone che perdono un’identità che vanno rimotivate, riaiutate. Di solito sono uomini con alle spalle storie di dipendenza, anche dal gioco. Perdono affetti, lavoro, casa, hanno debiti. Lavoriamo poi con giovanissimi, 20enni in balia del multitasking ma che in realtà non sanno dove sbatter la testa. E poi ci sono le donne vittime di violenza. Tutte queste categorie hanno necessità di vedere risposte rapide, concrete, alle esigenze abitative e di sopravvivenza».

Sabina Pampaloni, responsabile area adulti della Diaconia fiorentina, ha raccontato una di queste particolari situazioni abitative la Casa del Melograno di Firenze, «un servizio di accoglienza che nasce nel 2013 per accogliere un target estremamente definito in questo caso: detenuti in esecuzione alternativa della pena esterna al carcere, o in messa alla prova con i servizi sociali e a volte in regime di detenzione immobiliare. Una residenza non nata come housing sociale, ma che oggi possiamo osservare anche da questo punto di vista per alcune caratteristiche: la promozione dell’auto aiuto, l’accompagnamento da parte di operatori verso un percorso sociale di reinserimento»

Insomma, la casa, per tutte e tutti, in varie forme e modalità di fruizione, è una delle grandi sfide del nostro tempo. E la Diaconia valdese dimostra di compiere ogni sforzo per proporre modelli funzionali e funzionanti.